Archivio Febbraio 2009

Il monito dei rettori: con i tagli via le borse di dottorato

Dal manifesto del 27. Qui un articolo sulle "lauree triennali da valorizzare", con alcuni dati si ingegneria.


I Magnifici: «No a tagli indiscriminati». A rischio in particolare le facoltà di Medicina: «Si azzerano le prestazioni sanitarie offerte ai cittadini» In una lettera la richiesta al ministro Gelmini di rinunciare alla decurtazione dei fondi. «Le conseguenza sarebbero pesantissime e le pagherebbero i giovani»

Stefano Milani

Pochi giorni fa era stato Giorgio Napolitano ad alzare la voce. «No a tagli indifferenziati e indiscriminati», aveva tuonato il capo dello Stato in visita all’università di Perugia. Un monito che se non ha scalfito più di tanto il ministro Gelmini, ostinata ad andare avanti a suon di sforbiciate, ha almeno rinfrancato i rettori italiani. Che ora tornano a farsi sentire e battono cassa. Una ricetta semplice, quella dei Magnifici dell’Aquis (l’Associazione per la qualità delle università italiane statali) scritta nero su bianco in una lettera indirizzata a viale Trastevere, all’interno della quale hanno inserito delle richieste precise. E un punto su cui sono irremovibili: rinunciare ai tagli dei fondi per le università previsti per il 2010 che «saranno devastanti se resteranno nelle proporzioni oggi previste». Secondo quanto emerge da una mappa messa a punto dall’associazione, in metà delle regioni italiane le università sono sottofinanziate. Se il trend non cambierà, spiegano, il rischio concreto sarà quello di non avere più a disposizione borse di dottorato per il prossimo anno. «E le conseguenze dell’attuale crisi economica le subiranno innanzitutto i giovani». La strada da percorrere è esattamente inversa a quella imboccata dal governo, «bisogna sostenere i dottorati di ricerca è importante perché sono proprio questi a permettere di ottenere le migliori performance nella ricerca». Ad essere più in difficoltà sono gli atenei che hanno al loro interno le facoltà di Medicina. Per quelle strutture i rettori chiedono ai ministeri della Salute e dell’Università di reintegrare «quei 350 milioni di euro complessivi sui loro bilanci che sono destinati a pagare le prestazioni di carattere sanitario offerte ai cittadini attraverso il lavoro dei clinici universitari». I rettori vivono sulla Terra e sanno bene che un periodo di vacche magre come questo impone anche di tenere i conti in ordine. Perciò, dicono, «la trasparenza dei bilanci è un pre-requisito per qualsiasi amministrazione pubblica più che mai in un periodo di crisi». Bisogna però «ripartire le risorse a disposizione sulla base di criteri di merito» mettendo a punto al più presto un «efficace sistema di valutazione dei risultati conseguiti sul piano della didattica e della ricerca». Solo così si possono rendere competitivi sul piano internazionale gli atenei del Belpaese. E se poi il ministro Gelmini dei tagli non può proprio farne a meno, almeno che non siano «indiscriminati, non siano una mannaia che si abbatte in modo uguale su tutti gli atenei indipendentemente dalle modalità di gestione e senza alcun riconoscimento del merito». Perché, sottolineano i Magnifici, «non possiamo più continuare con azioni di governo che in realtà governano poco, perché tagliano trasversalmente i finanziamenti agli atenei senza alcuna considerazione della qualità del lavoro che negli stessi atenei si svolge». Sforbiciate che rischiano di mettere ulteriormente in ginocchio un sistema universitario che non è messo proprio bene. E un’ulteriore iniezione di pessimismo l’ha data ieri anche la Conferenza nazionale degli assessori alla Cultura e al Turismo riunitasi a Torino che ha lanciato un altro allarme rosso: l’università non attrae più. I dati parlano chiaro, negli ultimi due anni i nuovi iscritti sono scesi del 4,4%. Le immatricolazioni del 2009 toccano quota 312.104, record negativo da sette anni a questa parte. Le regioni italiane dove si registra il decremento più consistente sono quelle meridionali: 6,6% in meno negli ultimi dodici mesi. Nell’anno accademico 2008/2009, rapportando gli immatricolati con i diplomati dell’anno precedente, solo due studenti su tre (67%) hanno scelto di proseguire gli studi dopo la scuola mentre nel 2007 erano ben il 75%. Sempre più giovani quindi preferiscono fermarsi dopo il diploma della scuola secondaria. Con le prospettive che dà oggi l’università italiana, come dargli torto.

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Napolitano scopre i tagli alla ricerca

 Dal manifesto del 24.


Il capo dello Stato chiede al governo di rivedere le sforbiciate del duo Tremonti-Gelmini. Ma per quest’ultima si tratta solo di spendere meglio i soldi. I rettori ringraziano il Presidente e rinnovano l’allarme sulla sopravvivenza degli atenei che continuano a perdere cervelli

Stefano Milani

Onda su onda, i tagli all’università risalgono il Colle. Che alla prima occasione utile dà voce al disagio comune, di studenti e professori, e tuona: «Mi auguro che maturino le condizioni per un ripensamento delle decisioni di bilancio ispirate ad una logica dei tagli». Non fatevi abbagliare dalla sua solita eleganza verbale, stavolta Giorgio Napolitano va giù duro e dà una bella strigliata al governo e alla sua politica del taglio indiscriminato dei fondi destinati agli atenei. Intervenuto ieri mattina alla celebrazione per i settecento anni dell’Università di Perugia, il capo dello Stato ha invitato a definire la riforma del sistema universitario senza abbandonarsi a «generalizzazioni liquidatorie». Bisogna guardare i singoli atenei in base ai risultati e ai problemi della ricerca «con coraggio». Considerare ciò che accade in questo settore nel resto d’Europa e nel mondo, inoltre, «può suggerire» delle soluzioni. Perché «la ricerca e la formazione – prosegue Napolitano – sono la leva fondamentale per la crescita dell’economia. Questa è una verità difficilmente contestabile». Il messaggio è fin troppo chiaro e mira ad «evitare la dispersione di talenti e dei risultati del nostro sistema scolastico e universitario». Perché questi troppo spesso «non sono tradotti in occasioni di lavoro e di sviluppo». La chiave di volta per risolvere il problema, secondo il presidente, è «una accurata politica che sappia tenersi saggiamente in equilibrio tra il rigore della spesa e la necessità dell’investimento lungimirante». Un discorso applauditissimo dai ragazzi. Uno di loro poi prende la parola. Si chiama Amabile Fazio ed è il rappresentante degli studenti dell’ateneo perugino. Davanti al Presidente lancia l’allarme: diminuiscono gli iscritti nelle università pubbliche mentre aumentano in quelle private e telematiche. Entrando nel merito dei problemi, mette in luce quelli più diffusi tra gli studenti, come il numero chiuso di alcuni corsi di laurea («in contrasto con l’articolo 34 della Costituzione» che «garantisce a tutti l’accesso incondizionato al sapere»), il «mal funzionamento» del sistema universitario del «3+2» e il rischio che le università pubbliche italiane si trasformino in fondazioni private. Ma l’ottimismo per fortuna non manca ai ragazzi, perché «una università migliore è possibile costruirla». Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il ministro Gelmini. Che ieri, due minuti dopo l’affondo del Quirinale, è uscita dal letargo delle ultime settimane precisando che «le preoccupazioni del presidente Napolitano sono anche le preoccupazioni del governo». Sarà. Il ragionamento dell’inquilina di viale Trastevere non fa una grinza: «La Ricerca e l’Università sono alla base dello sviluppo di un Paese». Però, c’è un però. «In questa fase di difficoltà economica internazionale – aggiunge – è necessario investire il denaro pubblico con grande attenzione e oculatezza». Tradotto: bisogna tagliare. Verbo coniugato in ogni forma anche dal ministro della pubblica amministrazione Brunetta che si affretta a rassicurare tutti: «Non ci sono stati tagli indiscriminati». Certo, ammette, «abbiamo tagliato 36 miliardi di euro per il triennio 2009-2011 di spesa corrente», ma sono stati costretti a farlo. L’hanno fatto per gli italiani, perché «così abbiamo salvato l’Italia». Sembra impossibile ma «il governo ha un’enorme attenzione sulla ricerca», aggiunge senza arrossire l’impavido Brunetta. Governo a parte, il monito di Napolitano è piaciuto proprio a tutti. Ai rettori in particolare. Il finanziamento dell’università «è un tema centrale» dal quale dipende «la sopravvivenza della massima istituzione formativa del nostro Paese», sottolinea il presidente della Conferenza dei rettori (Crui), Enrico Decleva, e ringrazia il presidente della Repubblica «per la sua continua attenzione alle questioni riguardanti il sistema universitario». Un «grazie presidente» arriva anche dagli studenti. «I tagli messi in atto dagli ultimi governi – fa notare Roberto Iovino coordinatore dell’Uds – hanno messo seriamente a rischio la centralità di scuola e università come motore per uno sviluppo sostenibile nel nostro paese». La domanda ora è: il governo ascolterà le parole di Napolitano? Visti i precedenti la risposta pare, ahinoi, piuttosto scontata.

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Napolitano: rivedere i tagli. Ma il governo e il Corriere continuano a dare i numeri

Il presidente della Repubblica invita il governo a rivedere i tagli indiscriminati: primo e secondo articolo nel Corriere di oggi, che però dà retta solo al governo, come al solito, e in un arrogante e stomachevole sfoggio di partigianeria continua a fare mera propaganda progovernativa diffondendo dati scandalosamente falsi e smentiti innumerevoli volte, come quello dei 37 corsi di laurea con un solo iscritto, invenzione di Gian Antonio Stella e Perotti, che ciononostante viene ancora interpellato come esperto, mentre non controlla nemmeno le proprie fonti, o peggio mente sapendo di mentire. Ricordiamolo: quell’"1" è solo un valore di controllo nelle statistiche del ministero, che significa che su un dato corso di laurea non ci sono dati: Matrix tempo fa andando a vedere dal vivo ha verificato che quei corsi sono frequentati da decine di studenti (e infatti adesso Mentana ha dovuto dimettersi da Canale 5).
Inoltre si continua a dare i numeri sulla scuola, parlando di un numero di insegnanti per studente superiore del 30% rispetto alla media europea, senza dire che negli altri paesi europei non sono conteggiati gli insegnanti di sostegno, 110.000, e quelli di religione, 25.000 (Osvaldo Roman, La ricreazione è finita), anche perché gli alunni disabili sono in istituti separati o comunque molti lavoratori del settore dell’istruzione non fanno parte del corpo docente, perciò ad esempio la Francia con un numero paragonabile di studenti sembra avere 600.000 insegnanti contro i nostri 800.000, mentre in realtà gli addetti del settore scolastico sono 1.600.000 contro 1.100.000 italiani (Patroncini, Se gli insegnanti vi sembran troppi).
Con tutte queste bugie il governo e il Corriere continuano a nascondere la semplice verità del sottofinanziamento cronico dell’università italiana.

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DOSSIER degli “STUDENTI PER LA INNSE”

E’ disponibile la prima versione del dossier redatto dagli "studenti per la innse". Potete scaricarlo qui:

copertina:

 copertina del dossier innse

dossier: 124168-DOSSIER INNSE.pdf

 

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Atenei contro Sarko

Dal manifesto dell’11 febbraio. Vedi anche http://www.npa2009.org/content/la-r%C3%A9volte-des-universitaires e http://www.auvonslarecherche.fr/spip.php?article2412 .


 

FRANCIA

Cortei a Parigi, Marsiglia, Bordeaux… Ricercatori e studenti saldano le loro proteste
Atenei contro Sarko

Anna Maria Merlo

PARIGI I ricercatori universitari, che Sarkozy con disprezzo a gennaio ha definito coloro che «cercano e non trovano niente», sono scesi ieri in piazza, assieme agli studenti. Un imponente corteo a Parigi, dai giardini del Luxembourg fino all’Assemblea nazionale, con almeno 50mila persone, e altri cortei in città di provincia, da Marsiglia a Rennes, passando per Lione e Bordeaux. A Parigi erano venute delegazioni dal nord, dall’est, dal centro e dall’ovest della Francia. I manifestanti chiedono alla ministra della ricerca Valérie Pécresse di ritirare il decreto di riforma, che cambia la situazione dei ricercatori, mettendoli alla mercé dei presidenti delle università, sia per la loro carriera che per i contenuti delle ricerche. La protesta si è allargata anche ad altri temi: gli studenti contestano la riforma della formazione degli insegnanti delle scuole primarie e secondarie, dove viene di fatto abolito l’anno di stage (retribuito) e il periodo di studio portato da 3 a 5 anni con il master obbligatorio. I ricercatori protestano contro lo smantellamento del Cnrs (Consiglio nazionale della ricerca scientifica), che il governo vorrebbe trasformare in un’agenzia di distribuzione di finanziamenti, per di più in ribasso. Inoltre, la contestazione riguarda anche i tagli al personale, che colpiscono non solo la scuola ma anche le università e la ricerca, con mille posti in meno solo quest’anno. Valérie Pécresse ha già fatto qualche passo indietro. Pur affermando che la riforma «che nessuno aveva osato fare» si farà a tutti i costi, alla vigilia della giornata di mobilitazione ha nominato una mediatrice, Claire Bazy-Malaurie, presidente alla Corte dei conti, per prolungare per «due mesi» la «concertazione» che i ricercatori affermano non essere mai esistita. Ieri, nei cortei si è verificata la «congiunzione» tra studenti e ricercatori che Sarkozy e il governo tanto temevano, una decina di giorni dopo lo sciopero generale riuscito del 29 gennaio, mentre la Guadalupa e la Martinica sono in ebollizione e i sindacati, che saranno ricevuti all’Eliseo il 18 febbraio, hanno già annunciato un’altra giornata di mobilitazione per il 19 marzo. «No allo smantellamento della ricerca e del Cnrs», «no agli insegnanti robot», i cortei hanno scandito slogan contro la politica al ribasso di Sarkozy. Contro il «disprezzo» manifestato dal presidente nei confronti dei ricercatori e delle università, accusati di non produrre abbastanza, mentre la Francia è al settimo posto mondiale per la qualità della ricerca universitaria (classifica di Shangai) malgrado sia al diciottesimo per il livello dei finanziamenti. I cortei hanno denunciato i tagli e le minacce sulla libertà di ricerca. Temono l’arrivo in forza dei finanziamenti privati, per indirizzare la ricerca. Ormai, sulle 85 università francesi, 23 sono in sciopero illimitato dall’inizio di febbraio e 53 mobilitate. Valérie Pécresse si era fatta forte dell’appoggio dei presidenti dell’università. Ma lunedì, in una riunione alla Sorbona, nove presidenti di università (Paris III, IV, cioè la Sorbona, VIII, X e XII, Monpellier III, Besançon, Rouen e Grenoble III), a cui si è aggiunta ieri Orsay, hanno sottoscritto un appello per il «ritiro» della riforma: chiedono di associare «l’insieme della comunità universitaria e dei protagonisti della ricerca» a una riflessione sulle riforme, che tutti considerano necessarie. Ma contestano il metodo sbrigativo e le ingiunzioni venute dall’alto, con il solo scopo di risparmiare e di aumentare l’organizzazione gerarchica. Il premio Nobel per la fisica, Albert Fret, si è unito alla protesta, così come il genetista Axel Kahn. La riforma di Pécresse è riuscita a generare un fronte ostile che non riunisce solo gli oppositori di Sarkozy, ma anche una buona fetta della destra universitaria. Ricercatori e professori non hanno apprezzato i termini sprezzanti con cui Sarkozy e Pécresse hanno trattato gli universitari, accusati di essere pigri e timorosi delle valutazioni. Con la riforma, i presidenti delle università dovranhno valutare il lavoro di ricerca ogni quattro anni e stabilire, sulla base del risultato, la proporzione tra ore dedicate alla ricerca e ore di insegnamento (se non ci sono sufficienti pubblicazioni, al ricercatore verrà attribuito un maggior numero di ore di insegnamento). L’accentramento della valutazione nelle mani dei presidenti di università viene contestato, perché può favorire il sistema dei baroni e il clientelismo. Da quando è iniziato lo sciopero, le università fanno a gara per inventare nuove forme di protesta. Per esmepio, a Paris III-Censier alcune lezioni sono state tenute in strada, nella vicina Place d’Italie, per evitare di far perdere tempo agli studenti. In altre università è stato fatto ricorso al freezing, cioè a delle immobilizzazioni durante alcuni minuti.

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Il ’68 All’hotel Commercio

Dal manifesto del 31 gennaio.


Il ’68 ALL’HOTEL COMMERCIO

C’era una volta a Milano, in piazza Fontana, prima della strage, un luogo occupato dagli studenti fuorisede e trasformato per nove mesi in una casa e una comunità. Un’esperienza dimenticata, che parla di oggi: Onda, sgombero del Conchetta, uso del territorio

Giuseppe Natale

L’occupazione dell’hotel Commercio, in piazza Fontana a Milano, è uno degli eventi più dimenticati del ’68. La concretezza rivendicativa dell’Onda studentesca, e il recente sgombero del centro sociale Conchetta, mi hanno fatto ripensare a quell’esperienza, finita quattro mesi prima della strage alla Banca dell’agricoltura. 28 novembre 1968. Al termine di una grande manifestazione di migliaia di studenti, viene occupato l’ex hotel Commercio, stabile abbandonato e in degrado, da due anni di proprietà del Comune. L’occupazione viene decisa e gestita dagli studenti fuorisede, ospiti della Casa dello studente di Viale Romagna. Con cognizione di causa si sceglie l’albergo Commercio; e non, come voleva l’ala capannea del movimento, Palazzo Reale. Obiettivo, quest’ultimo, puramente simbolico: un fuoco di paglia che sarebbe stato spento sul nascere. Molto concrete le motivazioni. Emarginazione e carenza di case dello studente, alte rette. «A Milano – si legge nel volantino distribuito durante il corteo – ci sono 2.300 posti letto per più di 20.000 studenti fuorisede. Più di 1.800 hanno rette superiori alle 60.000 lire al mese ed arrivano fino a 110.000 lire (l’equivalente di un buon stipendio di allora, ndr); dei 2.300 posti letto solo 900 sono statali». La situazione diventa esplosiva quando, per mancanza di posti letto, più di 300 studenti fuorisede e "bisognosi" non vengono accolti alla Casa dello studente di viale Romagna. Il bisogno di accoglienza e di alloggio diventa un elemento di solidarietà e si innesta nel movimento generale antiautoritario. «Oggi è acquisito il principio che ribellarsi è giusto, e tutto può e deve essere criticato». Con l’occupazione di piazza Fontana si prende e non si chiede più quello che spetta di diritto. Stabile di proprietà pubblica, in posizione centrale e strategica, l’hotel Commercio ha le caratteristiche giuste per costruire una lotta di lunga durata. Consente a larghi strati di proletariato studentesco e giovanile di uscire dalla marginalità e dall’isolamento. Gli studenti denunciare all’opinione pubblica le loro condizioni di disagio materiale e ambientale, di sfruttamento e povertà. Praticano l’obiettivo di costruire una nuova casa dello studente, trattano direttamente col potere amministrativo locale, intervengono «nel vivo di una politica urbanistica classista della città». L’iniziativa, se da un lato si colloca all’interno del movimento antiautoritario degli studenti, dall’altro ne prende le distanze spesso in polemica con quegli orientamenti segnati da un rivoluzionarismo generico, incarnato in particolare nella figura dello studente a tempo pieno. I protagonisti dell’occupazione sono in maggioranza studenti immigrati e pendolari. D’estrazione proletaria, molti si mantengono agli studi con lavori e lavoretti. Nei loro documenti, cercano di dare un senso strategico alla loro specifica battaglia; provano a fondare sui due pilastri portanti – lo studio e il lavoro – la lotta generale contro il sistema capitalistico e l’autoritarismo delle istituzioni; si impegnano a costruire ponti di collegamento tra i due mondi tenuti separati e isolati. Coerentemente con queste ambizioni, la Nuova Casa dello Studente di piazza Fontana presto si trasforma in Casa dello studente e del lavoratore (C.S.L): «Gli alloggi, i trasporti, le mense sono termini drammatici che accomunano gli studenti disagiati ed i lavoratori». La C.S.L diventa il luogo fisico dell’incontro tra mondo dello studio e mondo del lavoro. Non solo casa, abitazione. Anche «centro di organizzazione politica» e di controinformazione: «Per la posizione strategica nel centro cittadino la nostra casa è già sede d’informazione politica: i muri esterni sono i nostri giornali. E’ l’ora di cominciare in pratica ad intaccare il monopolio borghese dell’informazione». Nella prima fase dell’occupazione, si lavora a rendere abitabili i quattro piani dello stabile e a porre all’attenzione dell’opinione pubblica la questione sociale degli studenti immigrati e disagiati. Si crea attorno alla Casa un clima favorevole e solidale. Arrivano da singoli cittadini aiuti di ogni genere (suppellettili, coperte, viveri, sottoscrizioni…). Una mano materiale e politica la danno cooperative di lavoratori, organizzazioni sindacali di base come alcune commissioni interne dei tranvieri, l’Udi. Anche il sindaco Aniasi riconosce il problema e, mentre si dichiara pronto al dialogo, «promette di venire incontro alle più impellenti necessità». E – annotano ironicamente gli studenti nei loro dazebao – fa arrivare mediante l’Ufficio d’igiene «materiale disinfettante con la raccomandazione di non berlo perché velenoso!». Milano scopre che gli studenti non fanno solo casino ma hanno le loro buone ragioni da far valere. L’occupazione supera indenne il rigido inverno. Le stanze dell’ex hotel si riempiono di inquilini. E la casa/albergo assume la fisionomia di una libera comunità giovanile che si dà un regolamento interno, organizza la vita quotidiana, promuove iniziative politiche e culturali. Nascono forti amicizie e sbocciano amori anche duraturi. Si tessono relazioni esterne e si arriva a costruire una rete cittadina di collegamento, sia studentesco ed interuniversitario sia con organizzazioni e realtà di lotta: con l’Unione Inquilini contro il caroaffitti; con comitati di cittadini dell’Isola Garibaldi contro gli sfratti, con comitati di base di alcune fabbriche (CUB Pirelli). Il rapporto con una cooperativa di immigrati di Cinisello Balsamo (62.000 immigrati su 70.000 abitanti) apre agli studenti uno squarcio sulla realtà delle città/fabbriche dell’area metropolitana e delle difficili e dure condizioni di vita dell’immenso esercito di immigrati, i "negri" del Nord venuti dal Sud. La comunità giovanile di piazza Fontana riesce anche ad appropriarsi dei meccanismi della politica urbanistica, a dire la sua sullo sviluppo della città: «Il piano regolatore prevede di razionalizzare il centro storico in quello che è già: centro di direzione politica, amministrativa,culturale: il cervello della città capitalista. In questo piano non entra tutto ciò che gli è estraneo (per esempio l’Isola Garibaldi, quartiere popolare: a pensionati, artigiani, bottegai, piccoli commercianti, poveri impiegati è imposto lo sfratto, devono andarsene fuori, in periferia, per cedere il posto a uffici ed abitazioni di lusso). Il piano è la razionalizzazione classista della città. E’ la stessa logica della fabbrica: la città divisa come i reparti… il tutto deve ruotare attorno al centro che deve essere stanza dei bottoni e paradiso borghese. I subalterni espulsi: non devono assolutamente abitarci. Se vorranno visitarlo dovranno farlo in religioso rispetto e ne usciranno abbagliati, storditi, intimiditi». (Da un pezzo a Milano non ci sono più fabbriche. Ma questa analisi non mi pare per nulla invecchiata.) Il 1969 è anche l’anno dell’attuazione del decentramento amministrativo di Milano. Entrano in funzione i venti Consigli di zona e per la prima volta si avvia un processo di democratizzazione del potere locale accentrato a Palazzo Marino. E’ il frutto di un decennio di lotte dei comitati di quartiere e di esperienze di partecipazione democratica. La C.S.L fa breccia nella macchina politico-amministrativa della città. Nel febbraio del 1969 il Consiglio comunale approva un ordine del giorno che riconosce legittimità all’occupazione: l’iniziativa degli studenti lavoratori può trovare spazio all’interno del progetto comunale di trasformare l’albergo Commercio in un Centro direzionale e culturale pubblico. Mentre si tiene Piazza Fontana, alla Casa dello studente di Viale Romagna si forma un Comitato di base che gestisce una significativa vertenza sindacale (nell’assenza del sindacato ufficiale) per il miglioramento contrattuale del settore. Un tale livello di lotta sociale sindacale politica e culturale entra in crisi nella primavera del ’69, quando i rappresentanti del potere decidono di passare al contrattacco, mentre si intensificano campagne di stampa di attacco denigratorio contro la C.S.L, ormai stigmatizzata come "covo" di anarchici ed estremisti, drogati e fannulloni. Una delle prime trombe dell’assalto viene suonata dal consigliere comunale del Psi Bettino Craxi, che con un’interpellanza chiede di sgomberare l’albergo Commercio. Comincia l’accerchiamento e l’isolamento, anche attraverso atti di provocazione e di intimidazione. Eppure si resiste. Si vuole raggiungere l’obiettivo di rimanere nel cuore della città, come comunità e centro politico. Non si riesce tuttavia a dare uno sbocco vertenziale ed istituzionale all’esperienza. Pesano le divisioni ideologiche e le diverse linee di condotta politica (basti pensare al settarismo e alla stupida presunzione di voler fare la rivoluzione da piazza Fontana che caratterizzava alcuni partitini marxisti-leninisti). Non aiuta il divario comunicativo tra linguaggio duro (ad esempio, la C.S.L viene definita «pugnale nel cuore della città capitalistica») e realtà. Soprattutto, pesa la volontà politica dominante di stroncare il movimento di crescita democratica del paese e, nella specifica realtà milanese, di cancellare un’esperienza così innovativa e dalle straordinarie potenzialità di partecipazione civile e democratica, in linea perfetta – diremmo ora – con i principi fondamentali di una Carta Costituzionale che, allora, non citavamo. Con inaudita violenza, il 19 agosto 1969, nel colmo dell’estate e delle vacanze, la C.S.L, quasi del tutto vuota, viene sgomberata da plotoni di carabinieri e poliziotti in assetto di guerra. L’edificio viene subito demolito. Si inaugura così la stagione degli sgomberi. Le autorità politiche e amministrative, nazionali e locali, si tolgono la maschera e palesano il volto del potere che ricorre alla forza per "risolvere" i problemi, che usa la rozzezza e la stupidità, non la duttilità e l’intelligenza di coinvolgere i cittadini nelle decisioni. Attenzione: si parla di oggi; si parla di noi. I problemi posti quaranta anni fa dagli studenti sono ancora tutti sul tappeto, irrisolti e incancreniti. Ne cito due. A Milano (e non solo) l’urbanistica ridotta a cementificazione con un pervasivo consumo insostenibile di suolo è sotto gli occhi di tutti. E l’Expo incombe… Milano è la città più cara d’Italia per gli affitti a universitari fuorisede. Sono oltre 50 mila e hanno a disposizione solo 5.956 posti letto, di cui appena 2.756 statali. Piazza Fontana e dintorni (ex teatro Gerolamo, Corsia dei Servi) sono ancora in attesa di una sistemazione decorosa. Demolito il vecchio hotel Commercio, ci sono voluti 40 anni per costruire – quando si dice la fantasia – un nuovo albergo! Superlussuoso e supercaro, ovviamente. Il 1969 in Piazza Fontana si chiude con la strage e con la sua diciassettesima vittima, il ferroviere anarchico Pino Pinelli, «precipitato» in un modo tutto suo dal quarto piano della Questura.

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INNSE

Aperta la sezione innse sul blog di cittastudi, in cui riportiamo gli aggiornamenti sulla lotta degli operai contro il licenziamento e le iniziative del gruppo "studenti per la innse". La trovate qui:

http://cittastudi.noblogs.org/category/innse

 Dopo le cariche al presidio nella mattina del 10 febbraio, con cui le forze dell’ordine hanno permesso ai camion di Genta di entrare nello stabilimento (anche se per prelevare materiale di scarso valore), gli operai sono ancora lì 24 ore su 24, si aspetta che la situazione si sblocchi nuovamente.

Mercoledì si terrà un’assemblea alle 13 in festa del perdono, in cui verrà presentato il dossier fatto dagli studenti:

   

 

Il dossier è scaricabile anche dalla sezione "INNSE" di questo blog. 

 

il blog degli operai: www.myspace.com/presidioinnse

ora più che mai la solidarietà è importante, chi volesse saperne di più sulle iniziative può andare a trovarli in via Rubattino 81 (sarà accolto calorosamente) oppure scriverci a studenti.per.la.innse@gmail.com

 

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scontri con la polizia – 10 febbraio (dal blog degli operai)

febbraio 10, 2009 – martedì 

Scontro con la polizia

10 febbraio 2009
Quello che ci aspettavamo…è successo!
Alle 4.50 di quest’oggi 20 camionette delle forze dell’ordine si sono presentati ai nostri cancelli.Si sono divisi tra l’ingresso principale (quello legittimo) e i cancelli sul retro dell’officcina(quello dei ladri).
Eravamo in tanti grazie alla solidarietà di tutti,ma loro erano molto di più.
Genta è entrato come un ladro,dal retro in maniera subdola e usando la violenza delle forze dell’ordine per contrastarci.
Lui stesso con una ruspa ha sfondato i cancelli togliendo tutto quello che avevamo messo davanti per impedirgli l’entrata.Qui,erano le 6,c’è stato il primo scontro con le forze dell’ordine con le prime cariche dove ,oltre a schivare i manganelli ,dovevamo schivare i detriti e i tubi rimossi.Chi è caduto è stato manganellato senza pietà,persino due pensionati che  avevano portato la loro solidarietà.
Successivamente alla nostra richiesta di far entrare un delegato della R.S.U e un delegato del sindacato per controllare che Genta non stesse smontando i nostri macchinari,c’è stato un no secco della polizia.
Qui dopo neanche un ‘ora dai primi scontri gli operai hanno subito una nuova carica,ancora più selvaggia della precedente.Quando oramai tutti gridavano "basta!,basta!"sono stati accerchiati e colpiti ai volti.Due operai hanno subito lesioni gravi.Testa rotta,naso rotto e polso rotto.
Ma questo perchè?
La risposta è questa,ed è semplice.
Oggi gli operai della INNSE dovevano essere picchiati perchè l’entrata di Genta doveva essere legittima e legittimata dalle forze dell’ordine!
Il risultato? dopo le botte i rappresentanti sindacali e la R.S.U
sono entati in fabbrica a vigilare che Genta portasse via solo il suo materiale.E cosi è stato!
Ma questo è quello che ,tramite accordi tra le parti ,stava già accadendo da dicembre!
 La R.S.U aveva fornito a Genta un elenco preciso del materiale che poteva essere portato via,i giorni e le modalità della movimentazione.
Oggi tutto questo non è avvenuto.Sia Genta,sia le forze dell’ordine ,hanno fornito un chiaro esempio di come in questo periodo lo stato vuole risolvere la questione occupazionale durante questo periodo di crisi economica.Stangate incondizionate agli operai che si ribellano al padrone e piena solidarietà a quest’ultimo
Ogni giorno ci sono più di 3 operai che muoiono sul lavoro.
Adesso ne vogliono qualcuno che muoia per difendere il posto di lavoro!

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petizione online

dal blog degli operai

Questo è il nono mese di lotta che come operai e impiegati della INNSE stiamo affrontando, il nostro obbiettivo è la difesa del posto di lavoro, la continuità produttiva, il rifiuto della chiusura della fabbrica. Stiamo facendo in modo che il padrone Genta non si impossessi del macchinario, abbiamo dovuto resistere con un presidio continuo davanti alle portinerie al suo tentativo di entrare e di svuotare l’officina e di vendere i macchinari al miglior offerente. Questa battaglia non riguarda solo noi, ma tutti quelli che credono che questa forma di resistenza operaia possa essere un possibile punto di partenza per lottare contro i licenziamenti, in una crisi che ne produce migliaia al giorno. Una battaglia che riguarda tutti quelli credono che la città di Milano non possa finire in mano a speculatori di ogni tipo, immobiliaristi sull’orlo del fallimento, speculatori finanziari bancarottieri di ogni ordine e grado che chiudono le fabbriche senza nessuna opposizione sociale. Non solo vi chiediamo di firmare questo appello di solidarietà, ma anche di partecipare attivamente ai presidi per impedire a Genta di smantellare una fabbrica che fa parte della storia industriale di Milano. Raccogliamo per questo le firme di chiunque voglia aderire all’appello. Milano 27 gennaio 2009 La R.S.U, gli operai e gli impiegati della INNSE puoi firmare la petizione su www.petitiononline.com/INNSE/ 
La nostra mail è PRESIDIOINNSE@GMAIL.COM Per chi volesse firmare la nostra petizione andate sul sito www.petitiononline.com/INNSE/ 

 

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URGENTE DALLA INNSE – comunicato del presidio

PRESENZA AL PRESIDIO
A causa del fallimento dell’incontro in regione tenutosi giovedì scorso dove sono decaduti tutti gli accordi precedentemente stabiliti e visto le minacce degli avvocati di Genta di portare via il materiale e i macchinari dalla fabbrica,ci aspettiamo un attacco già da lunedi prossimo.
Sosteneteci con la vostra presenza per contrastare il padrone e le forze dell’ordine che sicuramente saranno pronti ad usare il manganello contro di noi ,come hanno fatto già con gli operai della Fiat.
La nostra lotta è la vostra lotta.
Un posto di lavoro perso e un posto di lavoro che si perde per sempre.
L’occupazione è da difendere con i denti.Siamo milioni e la solidarietà di milioni di operai è un esercito.
Aiutateci….aiutiamoci!!!!

informazioni: www.myspace.com/presidioinnse

 

rete di solidarietà studentesca: studenti.per.la.innse@gmail.com

 

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