Il ’68 All’hotel Commercio


Dal manifesto del 31 gennaio.


Il ’68 ALL’HOTEL COMMERCIO

C’era una volta a Milano, in piazza Fontana, prima della strage, un luogo occupato dagli studenti fuorisede e trasformato per nove mesi in una casa e una comunità. Un’esperienza dimenticata, che parla di oggi: Onda, sgombero del Conchetta, uso del territorio

Giuseppe Natale

L’occupazione dell’hotel Commercio, in piazza Fontana a Milano, è uno degli eventi più dimenticati del ’68. La concretezza rivendicativa dell’Onda studentesca, e il recente sgombero del centro sociale Conchetta, mi hanno fatto ripensare a quell’esperienza, finita quattro mesi prima della strage alla Banca dell’agricoltura. 28 novembre 1968. Al termine di una grande manifestazione di migliaia di studenti, viene occupato l’ex hotel Commercio, stabile abbandonato e in degrado, da due anni di proprietà del Comune. L’occupazione viene decisa e gestita dagli studenti fuorisede, ospiti della Casa dello studente di Viale Romagna. Con cognizione di causa si sceglie l’albergo Commercio; e non, come voleva l’ala capannea del movimento, Palazzo Reale. Obiettivo, quest’ultimo, puramente simbolico: un fuoco di paglia che sarebbe stato spento sul nascere. Molto concrete le motivazioni. Emarginazione e carenza di case dello studente, alte rette. «A Milano – si legge nel volantino distribuito durante il corteo – ci sono 2.300 posti letto per più di 20.000 studenti fuorisede. Più di 1.800 hanno rette superiori alle 60.000 lire al mese ed arrivano fino a 110.000 lire (l’equivalente di un buon stipendio di allora, ndr); dei 2.300 posti letto solo 900 sono statali». La situazione diventa esplosiva quando, per mancanza di posti letto, più di 300 studenti fuorisede e "bisognosi" non vengono accolti alla Casa dello studente di viale Romagna. Il bisogno di accoglienza e di alloggio diventa un elemento di solidarietà e si innesta nel movimento generale antiautoritario. «Oggi è acquisito il principio che ribellarsi è giusto, e tutto può e deve essere criticato». Con l’occupazione di piazza Fontana si prende e non si chiede più quello che spetta di diritto. Stabile di proprietà pubblica, in posizione centrale e strategica, l’hotel Commercio ha le caratteristiche giuste per costruire una lotta di lunga durata. Consente a larghi strati di proletariato studentesco e giovanile di uscire dalla marginalità e dall’isolamento. Gli studenti denunciare all’opinione pubblica le loro condizioni di disagio materiale e ambientale, di sfruttamento e povertà. Praticano l’obiettivo di costruire una nuova casa dello studente, trattano direttamente col potere amministrativo locale, intervengono «nel vivo di una politica urbanistica classista della città». L’iniziativa, se da un lato si colloca all’interno del movimento antiautoritario degli studenti, dall’altro ne prende le distanze spesso in polemica con quegli orientamenti segnati da un rivoluzionarismo generico, incarnato in particolare nella figura dello studente a tempo pieno. I protagonisti dell’occupazione sono in maggioranza studenti immigrati e pendolari. D’estrazione proletaria, molti si mantengono agli studi con lavori e lavoretti. Nei loro documenti, cercano di dare un senso strategico alla loro specifica battaglia; provano a fondare sui due pilastri portanti – lo studio e il lavoro – la lotta generale contro il sistema capitalistico e l’autoritarismo delle istituzioni; si impegnano a costruire ponti di collegamento tra i due mondi tenuti separati e isolati. Coerentemente con queste ambizioni, la Nuova Casa dello Studente di piazza Fontana presto si trasforma in Casa dello studente e del lavoratore (C.S.L): «Gli alloggi, i trasporti, le mense sono termini drammatici che accomunano gli studenti disagiati ed i lavoratori». La C.S.L diventa il luogo fisico dell’incontro tra mondo dello studio e mondo del lavoro. Non solo casa, abitazione. Anche «centro di organizzazione politica» e di controinformazione: «Per la posizione strategica nel centro cittadino la nostra casa è già sede d’informazione politica: i muri esterni sono i nostri giornali. E’ l’ora di cominciare in pratica ad intaccare il monopolio borghese dell’informazione». Nella prima fase dell’occupazione, si lavora a rendere abitabili i quattro piani dello stabile e a porre all’attenzione dell’opinione pubblica la questione sociale degli studenti immigrati e disagiati. Si crea attorno alla Casa un clima favorevole e solidale. Arrivano da singoli cittadini aiuti di ogni genere (suppellettili, coperte, viveri, sottoscrizioni…). Una mano materiale e politica la danno cooperative di lavoratori, organizzazioni sindacali di base come alcune commissioni interne dei tranvieri, l’Udi. Anche il sindaco Aniasi riconosce il problema e, mentre si dichiara pronto al dialogo, «promette di venire incontro alle più impellenti necessità». E – annotano ironicamente gli studenti nei loro dazebao – fa arrivare mediante l’Ufficio d’igiene «materiale disinfettante con la raccomandazione di non berlo perché velenoso!». Milano scopre che gli studenti non fanno solo casino ma hanno le loro buone ragioni da far valere. L’occupazione supera indenne il rigido inverno. Le stanze dell’ex hotel si riempiono di inquilini. E la casa/albergo assume la fisionomia di una libera comunità giovanile che si dà un regolamento interno, organizza la vita quotidiana, promuove iniziative politiche e culturali. Nascono forti amicizie e sbocciano amori anche duraturi. Si tessono relazioni esterne e si arriva a costruire una rete cittadina di collegamento, sia studentesco ed interuniversitario sia con organizzazioni e realtà di lotta: con l’Unione Inquilini contro il caroaffitti; con comitati di cittadini dell’Isola Garibaldi contro gli sfratti, con comitati di base di alcune fabbriche (CUB Pirelli). Il rapporto con una cooperativa di immigrati di Cinisello Balsamo (62.000 immigrati su 70.000 abitanti) apre agli studenti uno squarcio sulla realtà delle città/fabbriche dell’area metropolitana e delle difficili e dure condizioni di vita dell’immenso esercito di immigrati, i "negri" del Nord venuti dal Sud. La comunità giovanile di piazza Fontana riesce anche ad appropriarsi dei meccanismi della politica urbanistica, a dire la sua sullo sviluppo della città: «Il piano regolatore prevede di razionalizzare il centro storico in quello che è già: centro di direzione politica, amministrativa,culturale: il cervello della città capitalista. In questo piano non entra tutto ciò che gli è estraneo (per esempio l’Isola Garibaldi, quartiere popolare: a pensionati, artigiani, bottegai, piccoli commercianti, poveri impiegati è imposto lo sfratto, devono andarsene fuori, in periferia, per cedere il posto a uffici ed abitazioni di lusso). Il piano è la razionalizzazione classista della città. E’ la stessa logica della fabbrica: la città divisa come i reparti… il tutto deve ruotare attorno al centro che deve essere stanza dei bottoni e paradiso borghese. I subalterni espulsi: non devono assolutamente abitarci. Se vorranno visitarlo dovranno farlo in religioso rispetto e ne usciranno abbagliati, storditi, intimiditi». (Da un pezzo a Milano non ci sono più fabbriche. Ma questa analisi non mi pare per nulla invecchiata.) Il 1969 è anche l’anno dell’attuazione del decentramento amministrativo di Milano. Entrano in funzione i venti Consigli di zona e per la prima volta si avvia un processo di democratizzazione del potere locale accentrato a Palazzo Marino. E’ il frutto di un decennio di lotte dei comitati di quartiere e di esperienze di partecipazione democratica. La C.S.L fa breccia nella macchina politico-amministrativa della città. Nel febbraio del 1969 il Consiglio comunale approva un ordine del giorno che riconosce legittimità all’occupazione: l’iniziativa degli studenti lavoratori può trovare spazio all’interno del progetto comunale di trasformare l’albergo Commercio in un Centro direzionale e culturale pubblico. Mentre si tiene Piazza Fontana, alla Casa dello studente di Viale Romagna si forma un Comitato di base che gestisce una significativa vertenza sindacale (nell’assenza del sindacato ufficiale) per il miglioramento contrattuale del settore. Un tale livello di lotta sociale sindacale politica e culturale entra in crisi nella primavera del ’69, quando i rappresentanti del potere decidono di passare al contrattacco, mentre si intensificano campagne di stampa di attacco denigratorio contro la C.S.L, ormai stigmatizzata come "covo" di anarchici ed estremisti, drogati e fannulloni. Una delle prime trombe dell’assalto viene suonata dal consigliere comunale del Psi Bettino Craxi, che con un’interpellanza chiede di sgomberare l’albergo Commercio. Comincia l’accerchiamento e l’isolamento, anche attraverso atti di provocazione e di intimidazione. Eppure si resiste. Si vuole raggiungere l’obiettivo di rimanere nel cuore della città, come comunità e centro politico. Non si riesce tuttavia a dare uno sbocco vertenziale ed istituzionale all’esperienza. Pesano le divisioni ideologiche e le diverse linee di condotta politica (basti pensare al settarismo e alla stupida presunzione di voler fare la rivoluzione da piazza Fontana che caratterizzava alcuni partitini marxisti-leninisti). Non aiuta il divario comunicativo tra linguaggio duro (ad esempio, la C.S.L viene definita «pugnale nel cuore della città capitalistica») e realtà. Soprattutto, pesa la volontà politica dominante di stroncare il movimento di crescita democratica del paese e, nella specifica realtà milanese, di cancellare un’esperienza così innovativa e dalle straordinarie potenzialità di partecipazione civile e democratica, in linea perfetta – diremmo ora – con i principi fondamentali di una Carta Costituzionale che, allora, non citavamo. Con inaudita violenza, il 19 agosto 1969, nel colmo dell’estate e delle vacanze, la C.S.L, quasi del tutto vuota, viene sgomberata da plotoni di carabinieri e poliziotti in assetto di guerra. L’edificio viene subito demolito. Si inaugura così la stagione degli sgomberi. Le autorità politiche e amministrative, nazionali e locali, si tolgono la maschera e palesano il volto del potere che ricorre alla forza per "risolvere" i problemi, che usa la rozzezza e la stupidità, non la duttilità e l’intelligenza di coinvolgere i cittadini nelle decisioni. Attenzione: si parla di oggi; si parla di noi. I problemi posti quaranta anni fa dagli studenti sono ancora tutti sul tappeto, irrisolti e incancreniti. Ne cito due. A Milano (e non solo) l’urbanistica ridotta a cementificazione con un pervasivo consumo insostenibile di suolo è sotto gli occhi di tutti. E l’Expo incombe… Milano è la città più cara d’Italia per gli affitti a universitari fuorisede. Sono oltre 50 mila e hanno a disposizione solo 5.956 posti letto, di cui appena 2.756 statali. Piazza Fontana e dintorni (ex teatro Gerolamo, Corsia dei Servi) sono ancora in attesa di una sistemazione decorosa. Demolito il vecchio hotel Commercio, ci sono voluti 40 anni per costruire – quando si dice la fantasia – un nuovo albergo! Superlussuoso e supercaro, ovviamente. Il 1969 in Piazza Fontana si chiude con la strage e con la sua diciassettesima vittima, il ferroviere anarchico Pino Pinelli, «precipitato» in un modo tutto suo dal quarto piano della Questura.

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