SULLO SGOMBERO DEL CAMPO NOMADI DI VIA RUBATTINO


Un po’ in ritardo, proviamo a dire qualcosa sull’ennesimo (il 166esimo, ci tiene a dire il viceSindaco De Corato) sgombero di un campo nomadi, quello di via Rubattino, smantellato il 19 novembre da polizia locale, polizia di stato, carabinieri. Un insediamento a 100 metri dai cancelli della Innse, una comunità che aveva saputo inserirsi positivamente nel quartiere (dal presidio operaio alle scuole…), un’esperienza di integrazione cancellata senza appello da chi detta la linea in Comune. Pubblichiamo qui sotto questo articolo che racconta da vicino i giorni successivi allo sgombero. Qui invece un articolo da peacereporter.

MilanoCittàAperta indice una fiaccolata mercoledì 2 dicembre alle h 18 in San Babila “per denunciare il carattere brutale degli sgomberi di via Rubattino e via Forlanini, sollecitare al più presto misure umanitarie nei confronti dei cittadini Rom sgomberati, chiedere la cessazione di ogni politica di sgomberi ciechi dei campi Rom da parte dell’Amministrazione comunale. Perché la convivenza pacifica si coltiva con il dialogo e la solidarietà, non con le ruspe!”

Per aggiornamenti e per dare una mano, vedere il sito del gruppo scout agesci milano 68 che sta raccogliendo beni di prima necessità per le famiglie sgomberate.

Sgombero del campo rom di via Rubattino

«Roberta abitava in una baracca in un campo insieme ad altri rom e alla sua famiglia. Era sempre presente in classe e io ero felicissima. Ma oggi non è venuta e io ho pensato: “Sarà malata?”».   Non deve essere stato facile per le maestre della scuola elementare di via Pini spiegare ai loro bambini che no, Roberta non era malata ma probabilmente a scuola non ci sarebbe più tornata. E’ l’alba del 19 novembre quando un contingente di polizia e carabinieri in assetto antisommossa irrompono nel campo rom di via Rubattino costringendo gli abitanti a lasciare le loro baracche. Il “166esimo sgombero”, si vanta il vice sindaco di Milano De Corato; un numero, invece, che dovrebbe per lo meno far riflettere sull’effettiva efficacia di queste azioni.

Sono circa 200 le persone che quella mattina si sono messe in cammino, silenziosamente rassegnate, ammucchiando una coperta e qualche vestito su traballanti carrelli della spesa, lasciandosi alle spalle l’immagine desolante di una baraccopoli fatiscente, che sta in piedi sfidando apertamente le leggi della fisica, sporca, inospitale e puzzolente. “I vigili hanno trovato condizioni igieniche spaventose e tonnellate di rifiuti che ci vorranno giorni a smaltire: una situazione pericolosa anche per gli stessi abusivi” spiega De Corato, dimenticandosi però di dire che l’Amsa aveva ricevuto l’ordine di non ritirare i rifiuti del campo.

E così che in una sola mattina sono stati vanificati e annullati tutti gli sforzi e i notevoli successi ottenuti in materia di integrazione. Il naturale e concreto desiderio di regalare ai propri figli una vita il più possibile normale, unito agli incredibili ed ammirevoli sforzi di moltissime insegnati, genitori e associazioni di volontari, ha trovato sbocco nel fatto che più di 40 dei 70 bambini che abitavano via Rubattino frequentavano regolarmente la scuola pubblica. Sarà ancora possibile? E’ questa una delle prime preoccupazioni di molti padri di famiglia. “Bisogna pensare prima ai bambini, noi possiamo anche dormire sotto un ponte, loro no. Devono andare a scuola!”, urlava un mastodontico rom, il cui figlio stava giocando allegramente con un suo compagno di classe, accorso col padre una volta appresa la notizia dello sgombero.

Il Comune ha messo a disposizione alloggi in comunità per 5 madri con relativi figli sotto i 7 anni. «I minori sopra questa età – precisavano – possono essere ospitati in appositi centri ma senza i genitori». Una frase che per le famiglie rom suona come una condanna: «Come faccio a separarmi da mia figlia? Alina ha dieci anni, fa le elementari in via Pini. Come faccio a mandarla da sola, senza madre, padre, fratelli?», ripeteva Doriana, madre di quattro bambini.

A nulla è servito il presidio sotto la Prefettura di Milano per chiedere che venissero aperte, come sistemazione provvisoria, le strutture della protezione civile. La risposta è stata un secco “no”. Unica concessione: se per quella notte i rom avessero dormito sotto il ponte di Rubattino la polizia “lo avrebbe tollerato”. La mattina dopo all’alba le forze dell’ordine sgomberavano l’area sotto il cavalcavia.

Il loro pellegrinaggio continua, anche se il numero di coloro che, a denti stretti, continua a rivendicare i propri diritti si assottiglia. Molti abbandonano, hanno paura, si disperdono nell’interland milanese, preferiscono tenersi stretti i propri figli e i propri coniugi, piuttosto che venire – forse, se c’è posto, prima o poi – smistati (uomini da una parte, donne dall’altra e figli da un’altra ancora) nei pochi, terribili, dormitori comunali. Qualcuno dovrebbe spiegare a De Corato un semplice concetto: se si sgombera un capo rom, gli abitanti non spariscono con esso, ma si spostano, confluiscono in altri campi. L’unico risultato che può raggiungere una politica tanto deleteria è quello di impedire una qualsiasi forma di integrazione e di scambio, di fomentare paura e diffidenza tra noi e loro, di aumentare le discriminazioni già esistenti, di creare quindi fette di società emarginata, disperata, debole e molto più facilmente soggetta ad una vita di espedienti, di microcriminalità.

Ma il centinaio di persone che in un primo momento hanno trovato rifugio nella chiesa di sant’Ignazio, nel quartiere Feltre, sono determinati, sono, non a caso, quelli più integrati – i loro figli vanno tutti a scuola -, hanno preso coscienza dei loro diritti di esseri umani e di cittadini europei (hanno quasi tutti la cittadinanza rumena). Mi avvicino ad uno di loro, ancora infilato nella sua grigia tuta da muratore (“stiamo costruendo un palazzo per Formigoni” mi dice); spiega chiaramente che sarebbe felice di pagare 400 euro al mese per l‘affitto di una casa del Comune; di più non ce la fa. La maggior parte dello stipendio va ai suoi tre figli, per lo studio, per i libri.

A supplire alla totale assenza dell’amministrazione milanese tentano, come meglio possono, le parrocchie, le associazioni di volontari e molte famiglie milanesi che hanno deciso di aprire le porte ai rom di via Rubattino per toglierli dalla strada.

Un’ulteriore segnale di cecità da parte del Comune è l’imminente demolizione del campo regolarizzato di via Triboniano che verrà distrutto per fare spazio al nuovo piano edilizio dell’Expo. Sembra che i rom di Triboniano verranno trasferiti nell’accampamento di via Idro di Milano, dove verrà creato un campo che ospiterà altri ottocento individui, una sorta di ghetto.

“Sono in Italia da nove anni – dice Alina, mamma di quattro bimbi, di cui due frequentavano la scuola con regolarità – e ho girato molti campi: Bacula, Bovisasca, Quarto Oggiaro e infine Rubattino. Ovunque andiamo, ci cacciano, questa non è vita. Sia io che mio marito abbiamo lavorato. Io ho fatto le pulizie, lui, come quasi tutti gli uomini del campo, ha trovato impiego nel settore delle costruzioni, ma sempre in nero. Nessuno ci ha mai offerto un contratto. In Romania non possiamo tornare, vorremmo stare qui per dare delle opportunità migliori ai nostri figli”

Per maggiori aggiornamenti e per chi volesse dare un aiuto rimando al sito del gruppo scout AGESCI milano 68 che si sta occupando della raccolta di materiale.

I commenti sono stati disattivati.