Rassegna stampa 10-11 dicembre 2008


Università, intoppo per la Gelmini il governo battuto alla Camera, la Repubblica

La sede di Fisica «occupata» per una notte, Corriere Milano

Scuola, maestro unico "facoltativo", Corriere della sera

Scuola, la riforma slitta al 2010 "Maestro unico solo su richiesta", la Repubblica

Poi, qualche articolo dal manifesto (meravigliosa l’ultima citazione, terribile).


UNIVERSITÀ
Governo battuto sul decreto Gelmini
Il decreto legge Gelmini sull’università inciampa
in commissione Esteri alla Camera: Pd e Idv hanno infatti votato contro
il parere della relatrice Michaela Biancofiore e, in concomitanza con
le numerose assenze nelle file della maggioranza, hanno battuto Lega e
Pdl mandando sotto il governo di un voto (5 contro, 4 a favore). Anche
il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi era presente alla
riunione e, racconta l’esponente del Pd Paolo Corsini, «ha espresso
preoccupazione per le risorse tagliate al suo ministero per trovare la
copertura al dl. Una posizione riportata anche dalla relatrice nel suo
parere finale». Pd e Idv hanno contestato non solo i tagli, ma anche i
meccanismi dei concorsi e anche le modalità indicate per il rientro di
cervelli dall’estero. «I concorsi con i sorteggi dei commissari
rischiano comunque di favorire i grandi atenei e il loro strapotere:
hanno numericamente più professori – spiega infatti Corsini – e per il
rientro dei cervelli tra i criteri c’è l’equipollenza della struttura
in cui questi lavorano tralasciando il fatto che all’estero si diventa
docenti anche senza concorso in alcuni casi e con modalità ben diverse
da quelle usate qui in Italia».


UNIVERSITÀ LA SAPIENZA
Un’Onda che si aggiunge a metalmeccanici, insegnanti, personale Alitalia
Assemblea a fisica: «Non pagheremo noi la vostra crisi». La precarietà tratto comune tra lavoratori e studenti
Francesco Piccioni
Unità delle lotte, va bene. Ma come? L’assemblea di
fisica, alla Sapienza di Roma, squaderna il problema mettendo a
confronto gli studenti dell’Onda e lavoratori di situazioni molto
diverse, accomunati dalla scadenza dello sciopero generale. Non è la
prima volta.L’onda ha attraversato i cortei del 17 e 30 ottobre
(sindacati di base e Pd) e del 14 novembre (sindacati della scuola).
E
se appaiono più vicine e «leggibili» le esperienze provenienti dal
mondo dell’istruzione, la curiosità diventa acuta quando al tavolo
arrivano mondi apparentemente agli antipodi come i metalmeccanici e il
personale di volo di Alitalia. Questi ultimi, «i privilegiati» – come
riassume ironicamene una hostess e madre – stanno facendo da cavie per
un esperimento che mira a ridisegnare i rapporti tra impresa e «risorse
umane». Racconta scene che stanno avvenendo in queste ore – lavoratori
di terra cui viene notificata la cigs direttamente in ufficio e che non
riescono ad uscire perché nel frattempo viene disattivato il badge;
personale di volo che riceve la comunicazione «via mail» mentre sono in
un altro continente e non riescono a sapere se e quale titolo (con
quale copertura assicurativa) potranno tornare in Italia. Descrive
un’azienda che considera i «carichi familiari» come un handicap. Da
eliminare in pianta organica. Una mutazione che va oltre la «riforma
del modello contrattuale» e travolge l’identità stessa di chi lavora.
Paolo
Maras, steward e coordinatore dell’Sdl, centra invece il tema di fondo
dello sciopero generale. Sgombrando il campo da personalismi e orgogli
di sigla («davanti a un modello che va avanti come un carro armato non
c’è più spazio per divisioni costruite in base alla ricerca della
posizione ‘più giusta’»), perché la lotta deve sapersi misurare sia con
«la prospettiva» che con la necessità di ogni lavoratore di aver
soluzioni vere «qui e ora». E si parla di 9.000 licenziamenti, di «un
disastro aereo». Che richiede, insieme a tutti i settori investiti
dalla crisi, «una risposta generale e collettiva» per iniziare a
«invertire la tendenza».
«Il metalmeccanico» ha il volto di una
ragazza sulla trentina, «il 20% degli operai è donna». Ma il cuore del
legame tra mondo del lavoro e studenti è «la precarietà». Non è una
condizione transitoria: «l’età media dei precari in fabbrica è 35
anni», con uno stipendio che non arriva ai 900 euro (non che gli
assunti a tempo indetermianto stiano molto meglio: salario medio 1.160
euro). Un legame riassunto alla perfezione dalla comune parola d’ordine
(«la vostra crisi non la paghiamo noi»), che «presenta una connotazione
di classe: chi siamo ‘noi’, chi sono i ‘voi’ che ce la scaricano
addosso». Basti pensare alla Commissione Ue che, martedì prossimo,
potrebbe approvare la direttiva che prolunga – tramite «contrattazione
individuale» col padrone! – l’orario di lavoro a 65 ore settimanali. E
questo «mentre si licenzia dappertutto» o, come in Italia, si
«detassano gli straordinari». Squarci inattesi arrivano da un
insegnante Cobas, che rivela lo smantellamento dell’istruzione in
carcere, «da formazione propriamente detta a puro apprendistato».
Un’idea beffarda, «se si hanno alunni con ‘fine pena mai’ o magari 10
anni ancora da fare». Si vede all’opera lo stesso meccanismo che
distrugge la sperimentazione del tempo pieno, iniziata quando il
centrosinistra la trasformò da «modello di scuola qualitativamente
superiore» a «diritto di scelta del cliente». Una logica «manageriale»
che ha abbattuto anche il welfare dei servizi alla persona,
«esternalizzato» a cooperative dove in media il 50% dei soci è
precario. Infine una buona notizia «unitaria»: gli studenti della
Sapienza, il coordinamento scuole «Non rubateci il futuro» e il
movimento insegnanti precari hanno stilato una piattaforma comune per
il 12.


DAL POLITECNICO
«Noi studenti non vogliamo fermarci»
Sabato 6 dicembre Alexandros Grigoropoulos, un
compagno 15enne, è stato ucciso a sangue freddo con un proiettile al
petto da un agente nella zona di Exarchia. Al contrario di quanto
dicono poliziotti e giornalisti, complici del delitto, questo non è
stato un «incidente isolato», ma un’esplosione dello Stato di
repressione che sistematicamente e in maniera organizzata colpisce
coloro che resistono, coloro che si ribellano, gli anarchici e gli
antiautoritari. Questo è il picco del terrorismo di Stato, espresso con
la dottrina della «tolleranza zero», con la viscida propaganda dei
media che criminalizza coloro che stanno lottando contro l’autorità.
La
violenza è parte del più ampio attacco di Stato e padroni contro
l’intera società, al fine di imporre più rigide condizioni di
sfruttamento e oppressione, per consolidare il controllo e la
repressione. Dalla scuola alle università, ai centinaia di lavoratori
morti nei cosiddetti «incidenti sul lavoro» e alla povertà che
abbraccia una larga fascia della popolazione, dai campi minati ai
confini, i pogrom e gli omicidi di migranti e rifugiati ai numerosi
«suicidi» nelle carceri e nelle stazioni di polizia, dagli «spari
accidentali» nei posti di blocco della polizia alla violenta
repressione delle resistenze locali, la Democrazia sta mostrando la sua
ferocia.
In un primo momento, dopo l’uccisione di Alexandros,
manifestazioni spontanee e riots sono esplosi nel centro di Atene, il
Politecnico e le Facoltà di Economia e Diritto sono state occupate e
attacchi contro i simboli dello Stato e del capitalismo hanno avuto
luogo in molti quartieri periferici e nel centro città. Manifestazioni,
attacchi e scontri ci sono state a Salonicco, Patrasso, Volos, Chania e
Heraklion (Creta), a Giannina, Komotini e in molte altre città. Ad
Atene, in Patission street – fuori dal Politecnico e dalla Facoltà di
Economia – gli scontri sono continuati tutta la notte. Fuori dal
Politecnico la polizia ha fatto uso di proiettili di plastica.
Sabato
7 dicembre, centinaia di persone hanno manifestato verso il quartier
generale della polizia ad Atene, attaccando la polizia. Scontri mai
visti si sono diffusi nelle strade del centro città, durati fino a
notte fonda. Molti manifestanti sono feriti ed alcuni sono stati
arrestati.
Noi continuiamo l’occupazione del Politecnico, cominciata
sabato notte, creando uno spazio per tutte le persone che lottano e un
altro presidio permanente della resistenza in città. Nelle barricate,
nelle occupazioni delle università, nelle manifestazioni e nelle
assemblee terremo viva la memoria di Alexandros, ma anche la memoria di
Michalis Kaltezas e di tutti i compagni uccisi dallo Stato, che hanno
dato forza alla lotta per un mondo senza padroni né schiavi, senza
polizia, armi, prigioni e confini. I proiettili degli assassini in
uniforme, l’arresto e le manganellate ai manifestanti, i gas chimici
lanciati dalle forze di polizia non solo non riusciranno a imporci
paura e silenzio, ma diverranno la ragione per sollevarci contro il
terrorismo di Stato, il grido della lotta per la libertà, per
abbandonare la paura e incontrarci – ogni giorno sempre di più – nelle
strade della rivolta.
(gli occupanti del Politecnico di Atene)


VUOTI DI MEMORIA
Grecia classica
Alberto Piccinini
«Più di 100 mila persone hanno manifestato oggi
davanti l’ambasciata degli Usa nel 12esimo anniversario della
repressione della protesta degli studenti del Politecnico nel 1973
durante il regime dei colonnelli. I dimostranti portavano bandiere
rosse e striscioni con slogan come "americani assassini dei popoli",
"Cee e Nato stessa gang", "Capitalismo uguale disoccupazione,
inflazione e austerità"». «La polizia ha ucciso un ragazzo di 15 anni
durante uno scontro avvenuto al termine della manifestazione, dopo la
mezzanotte. Secondo la versione delle forze dell’ordine, Mihailis
Kaltezas è stato ucciso dai colpi d’arma da fuoco sparati da un
funzionario di polizia contro un gruppo di persone che aveva lanciato
alcune bottiglie molotov contro un pullman carico di agenti". La notte
successiva "nuovi e talvolta violenti incidenti sono scoppiati nel
centro di Atene. Anarchici e autonomi, spostandosi in gruppetti, hanno
tentato di raggiungere l’edificio che ospita la direzione della
polizia. Fermati dalle forze dell’ordine, si sono dati allora a azioni
di saccheggio. In particolare hanno rotto a colpi di sbarre di ferro le
vetrine di alcune banche. Poi si sono ritirati nei locali del
Politecnico». (Ansa, 18/19 nov. 1985)

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