Dal manifesto:
L ANALISI DELL ULTIMO MICROMEGA
ONDA ANOMALA
Un documentato numero della rivista sul
movimento. Ma con un editoriale che considera un esercizio di cattiva
ideologia le innovative analisi prodotte sul mercato del lavoro e
sull’università
Francesco Raparelli
Lo speciale di MicroMega Un’Onda vi seppellirà è
davvero un materiale prezioso. In prima fila il lungo testo di Emilio
Carnevali e Cinzia Sciuto che ricostruisce con grande completezza e
serietà la discussione politica interna al movimento. A seguire la
tavola rotonda, la prima, anch’essa occasione di approfondimento utile
e ricca. In generale un testo che verrà letto e che accompagnerà la
ricerca di tante e tanti, di chi il movimento lo ha visto dall’esterno
e per questo vuole capirne qualcosa in più, ma anche di chi il
movimento lo ha vissuto in prima persona e dunque vuole capire meglio,
riconnettere i fili dell’esperienza vissuta. Con facilità possiamo
parlare di un esperimento ben riuscito.
La mia attenzione, per ovvi
motivi, si appunterà sull’editoriale di Flores d’Arcais. Secondo
Flores, infatti, la potenza del movimento sta per essere cancellata
dalle ideologie e dai gruppuscoli, incapaci di fare i conti con la
complessità del presente, avidi di piccoli poteri massimalisti,
funzionali all’establishment politico. La cosa divertente, poi, è
l’identificazione teorica di questi gruppuscoli: l’ideologia
all’interno del movimento non è rappresentata da chi parla ancora di
una vuota (perché non articolata e non attualizzata) quanto inefficace
«unità operai-studenti», né tanto meno da chi (e purtroppo ce ne sono)
al discorso dell’autoriforma contrappone la rivoluzione socialista con
tanto di partiti e partitini comunisti in testa; l’ideologia è quella
di chi parla di general intellect e di nuove figure produttive.
Hegeliano e ideologico secondo Flores è chi si sforza di guardare con
lenti nuove ai processi produttivi e al rapporto tra formazione e
lavoro; chi, da materialista, non può non fare i conti con una
composizione del lavoro completamente mutata, dalle forme contrattuali
al modo stesso di lavorare (ma la macchina informatica è l’equivalente
della catena di montaggio?).
L’esperienza della precarietà
Vent’anni
di riforme europee, libri bianchi, new-economy e deregulation
contrattuale, sembrano d’improvviso non contare nulla. Ma non è di
certo necessaria la sociologia del lavoro per rispondere a Flores,
sarebbero sufficienti, infatti, i racconti di chi da precario vive oggi
il mercato del lavoro, fuori e dentro l’università. Parlare di un modo
nuovo di lavorare significa ormai raccontare qualcosa che appartiene
all’esperienza di tutte e tutti, per lo meno di chi ha tra i venti e i
trent’anni. Non si tratta di certo di una figura unica e omogenea: il
nuovo lavoro precario e cognitivo (relazionale, affettivo,
comunicativo) è molteplice e frammentato; in più si svolge e si allarga
all’interno di un sistema produttivo sempre più integrato globalmente.
È
vero i lavori sono molti, sono ampie le sacche, specie sul piano
globale, di lavoro operaio tradizionale: ma quando ad essere centrale
era il lavoro operaio fordista forse non persistevano forme produttive
di altra natura? E ancora dire che il lavoro, soprattutto di nuovo
tipo, incorpora qualità comunicative e relazionali (che non vuol dire
di certo alte competenze tecnico-scientifiche) significa costruire una
nuova ideologia gruppettara o parlare della realtà lavorativa in
Europa? Basterebbe, inoltre, definire la continuità delle lotte
europee, dal movimento anti-cpe del 2006 in Francia, all’Onda, fino
all’esplosione greca di queste settimane per cogliere, nel vivo delle
lotte, un tessuto sociale e generazionale nuovo, precario e senza
futuro, per la maggior parte interno ai cicli delle formazione
superiore o all’intermittenza formazione-lavoro.
Siamo convinti che
Flores abbia equivocato, forse mosso da fantasmi del suo passato
personale e collettivo. Dire che questo movimento non si è posto e non
si sta ponendo il problema delle riforme è altrettanto sbagliato.
La
tematica dell’autoriforma, infatti, propone un modo nuovo di procedere:
l’università così com’è non va bene, l’università può e deve
sperimentare il cambiamento attraverso un lungo processo di riforma dal
basso, processo che non ha governi amici (d’altronde le spinte
riformiste che hanno distrutto l’università negli ultimi quindici anni
non sono di certo targate centro-destra).
La Repubblica che verrà
Avversata
da chi, sicuro del futuro socialista, la vede figlia di un meccanismo
concertativo (spiegano bene questo punto di vista Sciuto e Carnevali),
l’autoriforma parla del desiderio di riconquistare democraticamente le
grandi istituzione del welfare, quelle stesse istituzioni che la
strategia liberista vuole dismettere e dislocare sul terreno del
mercato (quanto si spende in Usa per formazione e sanità?). Certo per
far questo non basta la lotta degli studenti e dei ricercatori, ci
vorrebbe anche il coraggio di chi nella docenza ritiene questa
università insopportabile almeno quanto quella che viene (fatta di
aumento delle rette, differenziazione dei finanziamenti,
privatizzazione della ricerca).
Per chiudere sulla questione del
repubblicanesimo anti-establischment. Qui davvero l’equivoco si fa
ancora più divertente. Vale oggi, infatti, il principio repubblicano,
perché forme di vita, istanze etiche e modi di produzione prendono le
distanze dalla tradizionale mediazione socialista o statalista (proprie
dell’accumulazione fordista-keynesiana). Repubblica perché non Stato e
non Repubblica statalista e forcaiola.
È forte nel movimento un
atteggiamento legalista anti-establishment, è vero, ma è un
atteggiamento che aggredisce l’intero sistema della rappresentanza
politica e allude ad una legalità di nuova natura, repubblicana
appunto, perché prodotta dal basso, nelle lotte. Un repubblicanesimo
della libertà e dell’autogoverno è quello che si esprime
nell’autoriforma dell’Onda.
Pochi appunti, per fare premio a chi ha
dato vita ad un ottimo esperimento editoriale, ma che forse ha centrato
male il bersaglio della sua critica.
Tra governo e Onda partita ancora aperta
Giuseppe Caliceti
Il primo tempo della partita sulla scuola tra
governo e Onda primaria che si è giocata nel 2008 si è chiuso in
sostanziale parità. Dopo i tagli sconsiderati inflitti nell’estate, c’è
stata una pronta e in parte inaspettata reazione da parte del mondo
della scuola pubblica italiana che ha smascherato i tentativi di
Gelmini di giustificarli in ogni modo, al punto di farla tornare,
almeno a parole, sui suoi passi. In realtà la partita è ancora aperta e
il secondo tempo è fissato proprio con l’inizio del 2009. Dai primi
mesi si riapriranno infatti le iscrizioni alla scuola primaria.
Gelmini, in evidente difficoltà, ha dichiarato che i genitori degli
alunni potranno scegliere tra vari tipi di scuola: il maestro unico a
24 ore, il maestro prevalente più gli specialisti a 27 o 30 ore, i due
docenti su una classe che rappresentano il tempo pieno a cui siamo
abituati di 40 ore. Tutto fumo negli occhi. Perché ha aggiunto una
clausola non da poco: «salvo disponibilità dell’organico». E Gelmini ha
programmato uno dei più grandi «tagli» al personale che la scuola
italiana ricordi: 250.000 posti di lavoro in tre anni. Ci sono comitati
genitori-docenti anti-Gelmini che oggi propongono, come anche noi
avevamo suggerito alcuni mesi fa in modo provocatorio, di richiedere
compatti come genitori degli alunni il tempo pieno, trasformando il
momento dell’iscrizione in un referendum dal basso. Una buona idea. Ma
cosa si aspettano? Che Gelmini li accontenti? O di svergognarla? A
parole è già tornata più volte sui suoi passi. Senza alcun pudore. Non
è più questo il punto. Occorre che l’Onda primaria, dopo la forte
mobilitazione che c’è stata nel 2008, non si senta troppo ottimista.
L’obiettivo del contendere è sempre lo stesso: il taglio ai fondi e al
personale della scuola pubblica. Nonostante le dichiarazioni fatte,
Gelmini non aumenterà mai le scuole a tempo pieno perché sono
«antieconomiche». Ammettiamo che i genitori compatti chiedano per i
figli le 40 ore del tempo pieno: tirerà fuori, semplicemente, la
clausola della mancanza d’organico. In realtà Gelmini farà come ha
fatto la Moratti: cercherà di abbattere il tempo pieno. E’ sempre
questo modello di scuola a essere in ballo, nonostante le rassicuranti
false parole del ministro. Questo è il disegno iniziale. Per questo è
nata la promozione del «maestro unico». Facendo saltare il modulo che
prevedeva tre insegnanti su due classi, Gemini ha raggiunto un primo
obiettivo: su due classi ora ci saranno due docenti e non tre. Ma il
piatto grosso resta sempre il tempo pieno con due insegnanti su una
classe: nella testa di Gelmini-Tremonti questo è uno spreco
intollerabile, corrispondente a un possibile risparmio del 50pre cento.
Tutto e subito. Da oltre quindici anni non vengono istituite in Italia,
se non in casi eclatanti, classi a tempo pieno. Non è un caso.
Difficile pensare che Gelmini le istituirà. Nonostante ogni tipo di
protesta. E’ più facile che salti lei come ministro o salti questo
governo. L’Onda perciò non si monti la testa. L’obiettivo a medio
termine resta quello di garantire il tempo pieno e il suo corretto
funzionamento lì dove già esiste: questo sarebbe già un ottimo
risultato. Perché una cosa è dire che esiste, altra è metterlo in
pratica. Per esempio, senza alcuna compresenza il tempo pieno è già
annacquato, senza uscite didattiche, senza attività laboratoriali.
Oggi
siamo in una lotta di contenimento, di difesa di quanto altri prima di
noi avevano ottenuto e che oggi stanno togliendo ai nostri alunni e ai
nostri figli. Pretendere di più da questo governo non è realistico.
Piuttosto l’Onda inizi a chiedere con più forza le dimissioni di
Gelmini e del governo. Al resto penseremo poi. Magari lottando con un
ministro dell’Istruzione di centrosinistra. Partita dura anche quella.