Istituto Italiano Tremonti: dove i tagli non colpiscono.
Sotto, tre articoli dal manifesto (i primi due da quello del 6, l’ultimo da quello del 9).
UNIVERSITÀ
«Contro la crisi» Onda e Cgil verso il 12 dicembre
Roberto Ciccarelli
ROMA
Dalla crisi non si esce se non rilanciando
l’«economia della conoscenza» e promuovendo nuove forme di «Welfare
diffuso» che siano all’altezza delle trasformazioni del lavoro e
riconoscano i diritti sociali ad un’intera generazione. E’ questo il
risultato della tavola rotonda con Enrico Panini della segreteria
nazionale Cgil, il segretario generale della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo e
quello della Cgil-Lazio Claudio di Berardino promossa ieri alla
Sapienza di Roma dai ricercatori precari e dagli studenti dell’Onda per
spiegare le ragioni, e le prospettive, dello sciopero generale del
prossimo 12 dicembre.
Un confronto tra istanze che in passato «ha
avuto momenti difficili», hanno ammesso Panini e Pantaleo, ma che, alla
luce di «un rinnovamento della nostra organizzazione», potrebbe portare
alla luce insospettabili convergenze. Non sono certo mancati gli
accenni critici con i quali Francesco Raparelli, dottorando
all’università di Firenze ha invitato il sindacato «ad una riflessione
critica sulla stagione concertativa durante la quale ha legittimato una
politica del doppio binario tra chi vive nella cittadella del lavoro
garantito e chi vive nella giungla del lavoro precario ed atipico». «Il
sindacato avrà capito – ha aggiunto Giuseppe Allegri, docente a
contratto alla Sapienza – che la precarietà non è nata con questa
crisi. Non è solo quella dei 300 mila che finiscono il contratto a
dicembre. E’ un’intera generazione di padri, madri e figli ad essere
stata investita da un processo che nessuno ha voluto governare. Ci
vuole la continuità di reddito qui e ora. E’ questa l’unica base per
una riforma seria del Welfare».
Una critica che non ha lasciato
indifferenti i dirigenti sindacali i quali hanno riconosciuto
l’esistenza di una «frattura sociale» tra le generazioni entrate negli
ultimi tre lustri nel mercato del lavoro e quelle precedenti che hanno
usufruito dei benefici dello stato sociale del dopoguerra. «Il
sindacato – ha affermato Pantaleo – è stato inadeguato rispetto a
questo processo. Abbiamo subito serie sconfitte. Oggi si rende
necessario da parte nostra un salto culturale che superi la vecchia
impostazione familistica, lavoristica e non universale del Welfare
italiano». Ma per farlo, hanno incalzato dal movimento, «è
insufficiente pensare che l’orizzonte del lavoro a tempo indeterminato
o le stabilizzazioni servano a recuperare una normalità». Può essere la
soluzione per chi è già inserito in un percorso lavorativo specifico,
ed attende l’assunzione, ma non per chi da questo circuito di selezione
sociale è escluso e vive, suo malgrado, nella precarietà. L’invito
rivolto al sindacato da Giovanni Ricco, dottorando in fisica della
Sapienza, è quello di «pensare al superamento della distinzione tra chi
studia e chi fa ricerca, tra chi lavora e chi non lavora. Oggi c’è una
continuità tra queste condizioni che dovrebbe essere garantita a tutti
in maniera incondizionata. La prima cosa da fare è chiedere
l’abolizione di tutte le figure precarie nell’università e
l’introduzione di un contratto unico triennale per i non strutturati».
«È
tra le nostre proposte – ha risposto Panini – rispetto la vostra
battaglia per un reddito di cittadinanza. Penso che sia uno degli
elementi utili per ridisegnare un welfare all’altezza dei tempi». Il
segretario della Cgil ha riconosciuto all’Onda la volontà di non
opporre questa misura, del tutto assente in Italia, unico paese nell’Ue
insieme a Grecia e Ungheria, al compito tradizionale del sindacato,
quello della garanzia e della dignità del lavoro. Il punto è invece un
altro: queste nuove politiche dovranno essere l’anticamera di «uno
straordinario investimento sull’economia della conoscenza in questo
paese». Sembra essere questa la proposta generale che movimento e
sindacato potranno condividere per uscire dalla crisi. «L’idea che non
dobbiamo essere noi a pagare la crisi – ha concluso Panini – e che anzi
proponiamo un modello di società basata su una nuova idea di bene
comune e di valutazione sociale della ricerca dimostra che possiamo
fare insieme un cammino, pur nel rispetto delle nostre differenze».
APPUNTI DI SCUOLA
E ora torneranno anche i fondi tagliati all’istruzione pubblica?
Giuseppe Caliceti
Il governo aveva parlato di tagli alle scuole
cattoliche. È bastata la minaccia di una loro mobilitazione per fargli
cambiare idea nel giro di qualche ora. Niente sit-in. Niente
occupazioni. Niente lezioni all’aperto. Niente striscioni. Niente
scioperi. Niente coordinamenti docenti-genitori. È bastato che la
Chiesa si mostrasse risentita e il governo si è rimangiato le parole
dette ed è tornato prontamente sui suoi passi: i fondi per le scuole
paritarie sono stati immediatamente «ripristinati».
Allora ti fai
delle domande. E i soldi già tagliati dalla Gelmini per le scuole
pubbliche italiane, quelli saranno ripristinati? E quelli che il
governo è in procinto di tagliare ancora all’Università, saranno
ripristinati? Sì, insomma, quei soldi lì. Quelli per la scuola pubblica
italiana. Quelli per cui sono scesi in piazza in questi mesi migliaia
di studenti, genitori, docenti, gente comune – cattolica e non
cattolica. Anche i soldi tolti ai figli di questa gente saranno
ripristinati? Sì? No? E perché? Forse perché l’Onda anomala non è
abbastanza cattolica? O non è abbastanza italiana? O non è ancora
abbastanza privata?
Certo, le critiche al governo da parte della
Conferenza episcopale italiana sono state severe. Ma pare proprio che
qui si spossa parlare dei famosi due pesi e delle famose due misure.
Quasi che in Italia, oggi, ci fossero non solo due pesi, ma proprio due
Paesi. Due tipi diversi di alunni e di studenti. Monsignor Stenco aveva
detto: «Qui si vuole la scuola statale e la scuola commerciale, lo
stato e il mercato, ma non il privato sociale che rappresentiamo noi e
che fa la scuola non per interesse privato, ma per interessi pubblici».
Colpiva che Stenco parlasse di un «privato sociale» e di una scuola
pubblica italiana che avrebbe un «interesse privato» e non «pubblico»;
come se il vero «interesse pubblico» fosse esclusiva e prerogativa
unica delle scuole cattoliche. A ogni modo, proseguendo, Stenco aveva
aggiunto parole che potrebbero essere anche condivisibili: «Non è il
taglio da 130 milioni di euro di adesso che fa scoppiare la scuola
cattolica. Il punto è che sono dieci anni che il finanziamento si è
inceppato. Può una scuola parrocchiale, ad esempio, permettersi ogni
anno una passività di 20,25 mila euro? Il contributo dello Stato serve
a malapena a pagare gli stipendi».
Sante parole, viene da dire. Il
mestiere di Stenco è difendere le scuole parrocchiali e lo fa
egregiamente. Quello che colpisce è questo: il suo grido per difendere
le scuole private cattoliche è lo stesso dei tanti genitori e docenti
che in questi mesi difendono la scuola pubblica. Motivazioni comprese.
I fondi che ora lo Stato impiega nella scuola pubblica non servono
infatti solo a pagare a malapena gli stipendi dei docenti? Ma in questo
caso il governo non torna ancora sui suoi passi. Anzi, la Gelmini si
lamenta proprio di questo: per raschiare il fondo del barile parla del
taglio di 250.000 docenti in tre anni. Motivazione? Rappresentano il
97% dei fondi a sua disposizione. E non lo fa chiedendo più fondi.
Nonostante l’edilizia scolastica in questo Paese sia messa non proprio
bene. Non solo. Niente fondi destinati alla formazione,
all’aggiornamento dei docenti, alla ricerca. Questa è la situazione
degli ultimi dieci anni della scuola pubblica italiana, caro Stenco. Ma
allora, il criterio del taglio indiscriminato sulla pelle dei più
piccoli, dei più giovani, del futuro del nostro Paese, secondo lei, non
è ammissibile per la scuola privata cattolica ma magari lo è per la
scuola pubblica italiana? Per i figli di chi frequenta la scuola
pubblica italiana? Ci sono due pesi e due misure? Ci sono due Paesi?
Non credo.
«Gli aiuti per l’educazione religiosa dei figli», ha
detto Benedetto XVI, «sono un diritto inalienabile». Giusto. Chiediamo
allora a lui e a questo governo: e quelli per il resto dell’educazione?
Cioè per tutto quello che non è educazione religiosa? E l’aiuto per il
resto dei figli? Quelli che magari non si dichiarano cattolici? O che
si dichiarano cattolici ma comunque non frequentano una scuola privata
cattolica ma semplicemente la scuola pubblica italiana? Aiutare anche
questi figli è un diritto alienabile? Di fronte ai figli – i figli di
tutti – esistono forse diritti inalienabili e diritti alienabili?
NO GELMINI
Ma il 12 è stop anche a scuola
Il 12 dicembre si ferma anche la scuola: la
giornata segue allo stop del 30 ottobre, che ha portato in piazza a
Roma centinaia di migliaia di persone. Questa volta il blocco delle
attività didattiche è stato proclamato solo dalla Cgil – senza Cisl e
Uil – mentre un’iniziativa parallela, sempre per il 12, è messa in
campo dai Cobas. Scioperi che si inseriscono nel contesto generale
della protesta contro il governo per le iniziative anti-crisi, ma nelle
scuole è ancora vivo il dibattito contro la riforma Gelmini: tanto che
allo sciopero della Cgil hanno aderito anche i Comitati insegnanti
precari (Cip) e le organizzazioni degli studenti. A spiegare le ragioni
dello sciopero è stato il segretario generale della Flc Cgil, Mimmo
Pantaleo, secondo il quale nel settore dell’istruzione serve «una
svolta radicale», non aggiustamenti a interventi già varati. Piero
Bernocchi, portavoce dei Cobas, ha detto che la protesta è anche contro
«i tagli e la privatizzazione di scuola e università e per chiedere la
cancellazione della legge 133 e della 169, l’ex decreto Gelmini». La
Flc Cgil ha anche avanzato una «proposta alternativa» ai provvedimenti
del governo per la scuola: chiede che si sospenda l’attuazione dei
provvedimenti approvati e si ritirino quelli in itinere; nessun euro
risparmiato deve uscire dal comparto dell’istruzione; il governo deve
predisporre un piano straordinario, pluriennale, con risorse certe, per
la bonifica degli edifici scolastici; il personale precario va
stabilizzato e va ripensato l’orario di lavoro dei docenti; va
salvaguardato il tempo pieno, ridotta la didattica frontale, potenziati
i laboratori, favorita la valutazione; l’obbligo a 16 anni (con
l’obiettivo dei 18) deve essere assolto nel solo sistema di istruzione.
UNIVERSITÀ
«Contro la crisi» Onda e Cgil verso il 12 dicembre
Roberto Ciccarelli
ROMA
Dalla crisi non si esce se non rilanciando
l’«economia della conoscenza» e promuovendo nuove forme di «Welfare
diffuso» che siano all’altezza delle trasformazioni del lavoro e
riconoscano i diritti sociali ad un’intera generazione. E’ questo il
risultato della tavola rotonda con Enrico Panini della segreteria
nazionale Cgil, il segretario generale della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo e
quello della Cgil-Lazio Claudio di Berardino promossa ieri alla
Sapienza di Roma dai ricercatori precari e dagli studenti dell’Onda per
spiegare le ragioni, e le prospettive, dello sciopero generale del
prossimo 12 dicembre.
Un confronto tra istanze che in passato «ha
avuto momenti difficili», hanno ammesso Panini e Pantaleo, ma che, alla
luce di «un rinnovamento della nostra organizzazione», potrebbe portare
alla luce insospettabili convergenze. Non sono certo mancati gli
accenni critici con i quali Francesco Raparelli, dottorando
all’università di Firenze ha invitato il sindacato «ad una riflessione
critica sulla stagione concertativa durante la quale ha legittimato una
politica del doppio binario tra chi vive nella cittadella del lavoro
garantito e chi vive nella giungla del lavoro precario ed atipico». «Il
sindacato avrà capito – ha aggiunto Giuseppe Allegri, docente a
contratto alla Sapienza – che la precarietà non è nata con questa
crisi. Non è solo quella dei 300 mila che finiscono il contratto a
dicembre. E’ un’intera generazione di padri, madri e figli ad essere
stata investita da un processo che nessuno ha voluto governare. Ci
vuole la continuità di reddito qui e ora. E’ questa l’unica base per
una riforma seria del Welfare».
Una critica che non ha lasciato
indifferenti i dirigenti sindacali i quali hanno riconosciuto
l’esistenza di una «frattura sociale» tra le generazioni entrate negli
ultimi tre lustri nel mercato del lavoro e quelle precedenti che hanno
usufruito dei benefici dello stato sociale del dopoguerra. «Il
sindacato – ha affermato Pantaleo – è stato inadeguato rispetto a
questo processo. Abbiamo subito serie sconfitte. Oggi si rende
necessario da parte nostra un salto culturale che superi la vecchia
impostazione familistica, lavoristica e non universale del Welfare
italiano». Ma per farlo, hanno incalzato dal movimento, «è
insufficiente pensare che l’orizzonte del lavoro a tempo indeterminato
o le stabilizzazioni servano a recuperare una normalità». Può essere la
soluzione per chi è già inserito in un percorso lavorativo specifico,
ed attende l’assunzione, ma non per chi da questo circuito di selezione
sociale è escluso e vive, suo malgrado, nella precarietà. L’invito
rivolto al sindacato da Giovanni Ricco, dottorando in fisica della
Sapienza, è quello di «pensare al superamento della distinzione tra chi
studia e chi fa ricerca, tra chi lavora e chi non lavora. Oggi c’è una
continuità tra queste condizioni che dovrebbe essere garantita a tutti
in maniera incondizionata. La prima cosa da fare è chiedere
l’abolizione di tutte le figure precarie nell’università e
l’introduzione di un contratto unico triennale per i non strutturati».
«È
tra le nostre proposte – ha risposto Panini – rispetto la vostra
battaglia per un reddito di cittadinanza. Penso che sia uno degli
elementi utili per ridisegnare un welfare all’altezza dei tempi». Il
segretario della Cgil ha riconosciuto all’Onda la volontà di non
opporre questa misura, del tutto assente in Italia, unico paese nell’Ue
insieme a Grecia e Ungheria, al compito tradizionale del sindacato,
quello della garanzia e della dignità del lavoro. Il punto è invece un
altro: queste nuove politiche dovranno essere l’anticamera di «uno
straordinario investimento sull’economia della conoscenza in questo
paese». Sembra essere questa la proposta generale che movimento e
sindacato potranno condividere per uscire dalla crisi. «L’idea che non
dobbiamo essere noi a pagare la crisi – ha concluso Panini – e che anzi
proponiamo un modello di società basata su una nuova idea di bene
comune e di valutazione sociale della ricerca dimostra che possiamo
fare insieme un cammino, pur nel rispetto delle nostre differenze».
APPUNTI DI SCUOLA
E ora torneranno anche i fondi tagliati all’istruzione pubblica?
Giuseppe Caliceti
Il governo aveva parlato di tagli alle scuole
cattoliche. È bastata la minaccia di una loro mobilitazione per fargli
cambiare idea nel giro di qualche ora. Niente sit-in. Niente
occupazioni. Niente lezioni all’aperto. Niente striscioni. Niente
scioperi. Niente coordinamenti docenti-genitori. È bastato che la
Chiesa si mostrasse risentita e il governo si è rimangiato le parole
dette ed è tornato prontamente sui suoi passi: i fondi per le scuole
paritarie sono stati immediatamente «ripristinati».
Allora ti fai
delle domande. E i soldi già tagliati dalla Gelmini per le scuole
pubbliche italiane, quelli saranno ripristinati? E quelli che il
governo è in procinto di tagliare ancora all’Università, saranno
ripristinati? Sì, insomma, quei soldi lì. Quelli per la scuola pubblica
italiana. Quelli per cui sono scesi in piazza in questi mesi migliaia
di studenti, genitori, docenti, gente comune – cattolica e non
cattolica. Anche i soldi tolti ai figli di questa gente saranno
ripristinati? Sì? No? E perché? Forse perché l’Onda anomala non è
abbastanza cattolica? O non è abbastanza italiana? O non è ancora
abbastanza privata?
Certo, le critiche al governo da parte della
Conferenza episcopale italiana sono state severe. Ma pare proprio che
qui si spossa parlare dei famosi due pesi e delle famose due misure.
Quasi che in Italia, oggi, ci fossero non solo due pesi, ma proprio due
Paesi. Due tipi diversi di alunni e di studenti. Monsignor Stenco aveva
detto: «Qui si vuole la scuola statale e la scuola commerciale, lo
stato e il mercato, ma non il privato sociale che rappresentiamo noi e
che fa la scuola non per interesse privato, ma per interessi pubblici».
Colpiva che Stenco parlasse di un «privato sociale» e di una scuola
pubblica italiana che avrebbe un «interesse privato» e non «pubblico»;
come se il vero «interesse pubblico» fosse esclusiva e prerogativa
unica delle scuole cattoliche. A ogni modo, proseguendo, Stenco aveva
aggiunto parole che potrebbero essere anche condivisibili: «Non è il
taglio da 130 milioni di euro di adesso che fa scoppiare la scuola
cattolica. Il punto è che sono dieci anni che il finanziamento si è
inceppato. Può una scuola parrocchiale, ad esempio, permettersi ogni
anno una passività di 20,25 mila euro? Il contributo dello Stato serve
a malapena a pagare gli stipendi».
Sante parole, viene da dire. Il
mestiere di Stenco è difendere le scuole parrocchiali e lo fa
egregiamente. Quello che colpisce è questo: il suo grido per difendere
le scuole private cattoliche è lo stesso dei tanti genitori e docenti
che in questi mesi difendono la scuola pubblica. Motivazioni comprese.
I fondi che ora lo Stato impiega nella scuola pubblica non servono
infatti solo a pagare a malapena gli stipendi dei docenti? Ma in questo
caso il governo non torna ancora sui suoi passi. Anzi, la Gelmini si
lamenta proprio di questo: per raschiare il fondo del barile parla del
taglio di 250.000 docenti in tre anni. Motivazione? Rappresentano il
97% dei fondi a sua disposizione. E non lo fa chiedendo più fondi.
Nonostante l’edilizia scolastica in questo Paese sia messa non proprio
bene. Non solo. Niente fondi destinati alla formazione,
all’aggiornamento dei docenti, alla ricerca. Questa è la situazione
degli ultimi dieci anni della scuola pubblica italiana, caro Stenco. Ma
allora, il criterio del taglio indiscriminato sulla pelle dei più
piccoli, dei più giovani, del futuro del nostro Paese, secondo lei, non
è ammissibile per la scuola privata cattolica ma magari lo è per la
scuola pubblica italiana? Per i figli di chi frequenta la scuola
pubblica italiana? Ci sono due pesi e due misure? Ci sono due Paesi?
Non credo.
«Gli aiuti per l’educazione religiosa dei figli», ha
detto Benedetto XVI, «sono un diritto inalienabile». Giusto. Chiediamo
allora a lui e a questo governo: e quelli per il resto dell’educazione?
Cioè per tutto quello che non è educazione religiosa? E l’aiuto per il
resto dei figli? Quelli che magari non si dichiarano cattolici? O che
si dichiarano cattolici ma comunque non frequentano una scuola privata
cattolica ma semplicemente la scuola pubblica italiana? Aiutare anche
questi figli è un diritto alienabile? Di fronte ai figli – i figli di
tutti – esistono forse diritti inalienabili e diritti alienabili?
NO GELMINI
Ma il 12 è stop anche a scuola
Il 12 dicembre si ferma anche la scuola: la
giornata segue allo stop del 30 ottobre, che ha portato in piazza a
Roma centinaia di migliaia di persone. Questa volta il blocco delle
attività didattiche è stato proclamato solo dalla Cgil – senza Cisl e
Uil – mentre un’iniziativa parallela, sempre per il 12, è messa in
campo dai Cobas. Scioperi che si inseriscono nel contesto generale
della protesta contro il governo per le iniziative anti-crisi, ma nelle
scuole è ancora vivo il dibattito contro la riforma Gelmini: tanto che
allo sciopero della Cgil hanno aderito anche i Comitati insegnanti
precari (Cip) e le organizzazioni degli studenti. A spiegare le ragioni
dello sciopero è stato il segretario generale della Flc Cgil, Mimmo
Pantaleo, secondo il quale nel settore dell’istruzione serve «una
svolta radicale», non aggiustamenti a interventi già varati. Piero
Bernocchi, portavoce dei Cobas, ha detto che la protesta è anche contro
«i tagli e la privatizzazione di scuola e università e per chiedere la
cancellazione della legge 133 e della 169, l’ex decreto Gelmini». La
Flc Cgil ha anche avanzato una «proposta alternativa» ai provvedimenti
del governo per la scuola: chiede che si sospenda l’attuazione dei
provvedimenti approvati e si ritirino quelli in itinere; nessun euro
risparmiato deve uscire dal comparto dell’istruzione; il governo deve
predisporre un piano straordinario, pluriennale, con risorse certe, per
la bonifica degli edifici scolastici; il personale precario va
stabilizzato e va ripensato l’orario di lavoro dei docenti; va
salvaguardato il tempo pieno, ridotta la didattica frontale, potenziati
i laboratori, favorita la valutazione; l’obbligo a 16 anni (con
l’obiettivo dei 18) deve essere assolto nel solo sistema di istruzione.
#1 di Federico il 9 Dicembre 2008 - 20:29
Magnifico, secondo i presunti “rappresentanti dell’Onda” del Corriere venerdì protestiamo per cinema e teatro gratis.