Il monito dei rettori: con i tagli via le borse di dottorato


Dal manifesto del 27. Qui un articolo sulle "lauree triennali da valorizzare", con alcuni dati si ingegneria.


I Magnifici: «No a tagli indiscriminati». A rischio in particolare le facoltà di Medicina: «Si azzerano le prestazioni sanitarie offerte ai cittadini» In una lettera la richiesta al ministro Gelmini di rinunciare alla decurtazione dei fondi. «Le conseguenza sarebbero pesantissime e le pagherebbero i giovani»

Stefano Milani

Pochi giorni fa era stato Giorgio Napolitano ad alzare la voce. «No a tagli indifferenziati e indiscriminati», aveva tuonato il capo dello Stato in visita all’università di Perugia. Un monito che se non ha scalfito più di tanto il ministro Gelmini, ostinata ad andare avanti a suon di sforbiciate, ha almeno rinfrancato i rettori italiani. Che ora tornano a farsi sentire e battono cassa. Una ricetta semplice, quella dei Magnifici dell’Aquis (l’Associazione per la qualità delle università italiane statali) scritta nero su bianco in una lettera indirizzata a viale Trastevere, all’interno della quale hanno inserito delle richieste precise. E un punto su cui sono irremovibili: rinunciare ai tagli dei fondi per le università previsti per il 2010 che «saranno devastanti se resteranno nelle proporzioni oggi previste». Secondo quanto emerge da una mappa messa a punto dall’associazione, in metà delle regioni italiane le università sono sottofinanziate. Se il trend non cambierà, spiegano, il rischio concreto sarà quello di non avere più a disposizione borse di dottorato per il prossimo anno. «E le conseguenze dell’attuale crisi economica le subiranno innanzitutto i giovani». La strada da percorrere è esattamente inversa a quella imboccata dal governo, «bisogna sostenere i dottorati di ricerca è importante perché sono proprio questi a permettere di ottenere le migliori performance nella ricerca». Ad essere più in difficoltà sono gli atenei che hanno al loro interno le facoltà di Medicina. Per quelle strutture i rettori chiedono ai ministeri della Salute e dell’Università di reintegrare «quei 350 milioni di euro complessivi sui loro bilanci che sono destinati a pagare le prestazioni di carattere sanitario offerte ai cittadini attraverso il lavoro dei clinici universitari». I rettori vivono sulla Terra e sanno bene che un periodo di vacche magre come questo impone anche di tenere i conti in ordine. Perciò, dicono, «la trasparenza dei bilanci è un pre-requisito per qualsiasi amministrazione pubblica più che mai in un periodo di crisi». Bisogna però «ripartire le risorse a disposizione sulla base di criteri di merito» mettendo a punto al più presto un «efficace sistema di valutazione dei risultati conseguiti sul piano della didattica e della ricerca». Solo così si possono rendere competitivi sul piano internazionale gli atenei del Belpaese. E se poi il ministro Gelmini dei tagli non può proprio farne a meno, almeno che non siano «indiscriminati, non siano una mannaia che si abbatte in modo uguale su tutti gli atenei indipendentemente dalle modalità di gestione e senza alcun riconoscimento del merito». Perché, sottolineano i Magnifici, «non possiamo più continuare con azioni di governo che in realtà governano poco, perché tagliano trasversalmente i finanziamenti agli atenei senza alcuna considerazione della qualità del lavoro che negli stessi atenei si svolge». Sforbiciate che rischiano di mettere ulteriormente in ginocchio un sistema universitario che non è messo proprio bene. E un’ulteriore iniezione di pessimismo l’ha data ieri anche la Conferenza nazionale degli assessori alla Cultura e al Turismo riunitasi a Torino che ha lanciato un altro allarme rosso: l’università non attrae più. I dati parlano chiaro, negli ultimi due anni i nuovi iscritti sono scesi del 4,4%. Le immatricolazioni del 2009 toccano quota 312.104, record negativo da sette anni a questa parte. Le regioni italiane dove si registra il decremento più consistente sono quelle meridionali: 6,6% in meno negli ultimi dodici mesi. Nell’anno accademico 2008/2009, rapportando gli immatricolati con i diplomati dell’anno precedente, solo due studenti su tre (67%) hanno scelto di proseguire gli studi dopo la scuola mentre nel 2007 erano ben il 75%. Sempre più giovani quindi preferiscono fermarsi dopo il diploma della scuola secondaria. Con le prospettive che dà oggi l’università italiana, come dargli torto.

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