UNIVERSITA’ IN EMERGENZA! – CORTEO VENERDI’ 23 OTTOBRE


Nel giorno dello sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, a Milano ci sarà un corteo di tutto il mondo della formazione (lavoratori e studenti di scuole e università) alle 9:30 da largo Cairoli, per reclamare un’inversione di tendenza rispetto ai licenziamenti e alla dismissione dell’istruzione pubblica. In piazza anche uno spezzone di studenti universitari per rivendicare un’università pubblica libera ed accessibile a tutti, direzione contro la quale vanno i tagli e le "riforme" predisposti dal ministero.

 

 

L’appuntamento per Città Studi è alle 8:30 in piazza Leonardo, da dove andremo a congiungerci al corteo. Invitiamo tutti a leggere e diffondere il documento/volantone prodotto per l’occasione dal Collettivo Città Studi (disponibile qua sotto), con un aggiornamento sula situazione universitaria e una proposta di lavoro sul tema dell’autogestione. 

 locandina per corteo 23 ottobre 2009 - università in emergenza

Volantone: pagina 1.pdf , pagina 2.pdf , pagina 3.pdf , pagina 4.pdf .

Memoria storica: un documento prodotto nel 2005 dagli studenti di città studi durante le mobilitazioni contro la "riforma" Moratti dell’università, perfettamente in linea coi processi distruttivi ancora in atto. [ Scienza etica (documento studenti Milano, 2005).rtf ]

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Anche quest’anno la ministra Gelmini e i suoi collaboratori hanno diligentemente atteso l’estate per giocare l’ennesimo brutto tiro all’Università Pubblica.

 

 

Infatti il 24 luglio 2009 il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera all’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) e ha ufficializzato l’assegnazione del 7% dell’FFO (Fondo Finanziamento Ordinario,  525 milioni di euro) alle università considerate "virtuose".

L’Anvur avrà il ruolo centrale di definire i criteri di valutazione degli atenei, che automaticamente saranno anche quelli di differenziazione dell’FFO. I criteri individuati per stilare la classifica delle università fanno sostanzialmente riferimento alla qualità della ricerca, all’inserimento nel mondo del lavoro dei laureati, alle collaborazioni delle università con enti pubblici e aziende private e alla capacità degli atenei di attrarre finanziamenti esterni.

 

Criteri che non si preoccupano di far trasparire chiaramente che resterà a galla chi, per merito!, saprà accaparrarsi più fondi da parte di aziende e privati, svendendo la formazione e la ricerca al miglior offerente; nella medesima logica della riforma della governance universitaria che nelle varie bozze finora pubblicate pone fra le priorità l’ingresso massiccio dei privati all’interno dei consigli d’amministrazione.

 

Nello stesso “pacchetto università” di luglio si tratta inoltre il taglio dei corsi inutili, intento di per sé lodevole, se non fosse che questi vengono selezionati solo sulla base dei pochi iscritti e della non rispondenza alle richieste del mercato del lavoro!

 

L’altro pezzo arriva il 4 settembre, con la direttiva 160 “Ulteriori interventi per la razionalizzazione e qualificazione dell’offerta formativa nella prospettiva dell’accreditamento dei corsi di studio”. L’inizio del documento è clamoroso: riconosce infatti il fallimento integrale del Bologna Process e del 3+2 italiani, in termini non diversi da qualsiasi documento dell’Onda.

– il tasso di passaggio dalle superiori all’università sta diminuendo (74,5% nel 2003 e 68,5% nel 2007)

– il tasso di abbandono oscilla intorno al 20%

– gli studenti fuori corso sono in costante aumento dall’avvio del 3+2 e diminuisce la percentuale delle lauree di I° livello in tempi regolari

– il tasso di passaggio alla laurea magistrale è del 60%, con valori più elevati laddove ci si aspettava che la laurea di I° livello potesse essere maggiormente spendibile sul mercato del lavoro (es. Ingegneria 83%)

 

Dopodichè la direttiva “invita caldamente” -fra la promessa di fondi virtuosi e la minaccia delle sanzioni- a ridurre ulteriormente le spese, nonostante le risorse siano già scarsissime! Dunque il  ministro dispensa qualche consiglio, senza preoccuparsi nè dell’articolazione nè della qualità dell’insegnamento: innalzare il numero minimo di studenti per ogni corso pena sanzioni economiche, accorpare corsi simili in un unico insegnamento e blocco del numero dei docenti ordinari. C’è anche un pensierino per i baroni: i docenti potranno continuare a insegnare oltre l’età pensionabile, e alle università che si terranno il barone di turno sarà riconosciuto il risparmio sugli stipendi e sui contributi, con buona pace di turn-over e precari!

 

Ne conseguirà un taglio selvaggio dei corsi senza distinzioni, soprattutto negli atenei medi e piccoli e nelle sedi decentrate, la chiusura di interi settori disciplinari e il licenziamento della maggioranza dei docenti precari, sostituiti con il lavoro gratuito dei dottorandi e la moltiplicazione degli stages affidati a “volontari”. La drastica riduzione dei bienni magistrali e dei dottorati, concentrati in poche sedi e sostituita da master a pagamento, con cui si cercherà di incrementare le entrate aggirando il vincolo che impone che le tasse degli studenti non superino il 20% del totale delle entrate.

 

In più, i tagli all’FFO. Quelli quinquennali predisposti dalla 133, di cui quest’anno vedremo il primo – 8% ( – 20% in 4 anni), a cui si aggiungono quelli differenziali del 24 luglio (se a qualche “ateneo virtuoso” arriveranno due briciole in più, altri atenei saranno ulteriormente penalizzati).

 

Necessariamente questi tagli spingeranno molti atenei a trovare altre vie di salvezza, o di suicidio, a seconda dei punti di vista: tra tutte, quelle più probabili sono: l’aumento spropositato delle rette, la (s)vendita del patrimonio immobiliare (già oggi, in molti casi, affidato a Fondazioni pubblico-private), la riduzione di “sprechi” come la ricerca, la consistente riduzione delle borse di dottorato e un ulteriore blocco del turn over.

 

Di fronte a questo scenario, pensiamo che sia il momento di riprendere il filo delle lotte degli anni passati in difesa di un’idea di istruzione pubblica e accessibile a tutti, consapevoli del fatto che per una mobilitazione efficace è necessaria una presa di coscienza collettiva, che ci porti alla costruzione di percorsi di riappropriazione della centralità che come studenti ci spetta all’interno degli atenei.

 

FLASHBACK

E’ passato più di anno ormai da quel fatidico 21 agosto 2008, il giorno forse più buio per l’Università e la Ricerca pubblica italiana… Quel giorno infatti entrò purtroppo in vigore l’ormai celeberrima Legge 133/08. Una legge che in soli due articoli, gli artt. 16 e 66, pone le basi per la dismissione totale del sistema universitario pubblico. Uno smantellamento che fa perno su tre pilastri:

         tagli smisurati ed esorbitanti (il 20% in 5 anni) del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università pubbliche (il fondo che permette alle Università di pagare gli stipendi, finanziare la ricerca ed effettuare la manutenzione degli immobili);

         il blocco quasi totale del turn-over (ricambio “generazionale”) dei professori e ricercatori (1 assunzione ogni 5 pensionamenti nel triennio 2009-2011, 1 ogni 2 nel 2012);

         possibilità degli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato mediante una semplice votazione del Senato Accademico.

 

La portata e le conseguenze di questi provvedimenti sono devastanti. I tagli all’FFO ridurranno ulteriormente la spesa pubblica per la ricerca in Italia, facendola precipitare allo 0,7% del PIL rispetto all’1,9% dell’Unione Europea, al 2,8% degli USA e al 3% (!) del Giappone. Inutile dire che senza questi fondi il semplice funzionamento ordinario delle Università (figuriamoci lo sviluppo) risulta essere impossibile, come afferma la Conferenza dei Rettori stessa il 24/9/2009: “mantenere quei tagli significherebbe provocare il crollo di una buona parte del sistema universitario, a cominciare dal 2010”.

Il blocco del ricambio generazionale dei ricercatori e dei professori rappresenta un’ulteriore tegola sulle Università in quanto impedisce l’accesso alla ricerca ai giovani e non elimina le situazioni baronali all’interno delle Facoltà (anzi). Questo blocco delle assunzioni, insieme ai cosiddetti provvedimenti “meritocratici” adottati nel DDL 180, sancisce di fatto la morte di una importante fetta degli atenei pubblici italiani e la creazione di atenei di serie A e di serie B, con una conseguente lesione del diritto allo studio sancito dalla Costituzione. Il divario fra la qualità della didattica e della ricerca fra queste due “fasce” di atenei sarà sempre crescente e fortemente legato alla territorialità ed alla subordinazione della ricerca ad interessi privati.

Ciliegina sulla torta e` infatti la possibilità per le Università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato  per sopravvivere.  In questo caso gli atenei potrebbero aumentare a dismisura le tasse universitarie per far fronte ai tagli ministeriali (gli atenei pubblici hanno invece come tetto massimo di tasse pagate dagli studenti il del 20% dell’FFO) e gli studi universitari diventerebbero un lusso per pochi studenti abbienti il cui compito sarà soddisfare le richieste del finanziatore privato.

 La dismissione dell’Università viene portata avanti quest’anno con la Finanziaria 2009, nella quale non sono previsti fondi aggiuntivi per l’Università e la Ricerca se non tramite i proventi del riciclaggio di Stato denominato Scudo Fiscale. Quest’ultimo, però dovrebbe stranamente servire a finanziare anche altre voci, come il contratto dei dipendenti pubblici, gli incentivi per il risparmio energetico e il cinque per mille…traduzione? se rimarranno dei soldi per l’Università pubblica saranno spiccioli…e sporchi, in quanto frutto di attività criminali nascoste all’estero! 

A questa logica del Governo si è opposto, durante un intero anno accademico, il movimento studentesco dell’Onda. Un movimento straordinario ed eccezionale per le proprie dimensioni, caratterizzato dallo spontaneismo e dalla distanza da qualsiasi partito politico, che è stato capace di portare in piazza centinaia di migliaia di studenti, ricercatori e professori. Un movimento che per mesi ha tenacemente e caparbiamente chiesto e chiede ancora:

 

         l’abrogazione degli artt. 16 e 66 della Legge 133/08;

         più soldi per il diritto allo studio, in particolare per il sostegno alle fasce con reddito basso: alloggi alla portata di tutti, borse di studio più significative e l’istituzione di un reddito sociale garantito;         il diritto a una ricerca pubblica libera e di qualità, esente dal ricatto dei finanziamenti privati e della precarietà dei contratti;         un impiego del denaro pubblico volto a evitare che siano le fasce deboli a pagare la crisi.

 

PARLIAMO DI AUTOGESTIONE?

 Ricominciato l’anno accademico, ci siamo posti il problema di come – partendo dalle nostre idee –  continuare a scardinare la routine un po’ autistica delle nostre facoltà, e contemporaneamente riprendere e sviluppare il filo delle lotte degli anni passati in difesa dell’istruzione pubblica e per un’università migliore.Il risultato di tanto pensare è questa proposta rivolta a tutti e tutte, costruire un percorso che legando teoria e pratica dell’autogestione ci permetta di vivere e lasciare il segno in un’università che rischia di essere sempre più lontana dai bisogni degli studenti.

Perché un percorso sull’autogestione?

Partiamo da un discorso generale, per poi arrivare ai risvolti pratici per uno studente universitario.

 

Autogestione come partecipazione, riappropriazione del proprio potere decisionale, dei propri desideri e bisogni. Quali ambiti decisionali spettano ancora al cittadino, e non sono allontanati da questo dagli invalicabili meccanismi della delega? Autoritarismo statale, accumulo di potere in organismi sopranazionali, una mediaticità di massa che toglie all’individuo lo spazio per il pensiero critico e l’elaborazione personale dei bisogni e dei desideri, obbligando all’isolamento chi non vi si adatta. Bisogna riabituarsi a prendere parola, al gusto di partecipare alle decisioni collettive, ad ascoltare e ascoltarsi.

Autogestione come alternativa globale all’attuale stato di cose. Le pratiche di autogestione sono un mezzo di resistenza / attacco pratico allo status quo, un modo di riprendersi subito pezzi di vita e quindi ridurre lo spazio a disposizione di chi vorrebbe determinarla al nostro posto. L’autogestione è anche una pratica produttiva alternativa, sostituisce il rispetto, l’orizzontalità dei rapporti e la condivisione delle decisioni alla struttura verticistica tipica delle aziende (fondata sulla separazione tra chi decide e chi subisce la decisione) e in generale di quasi ogni organizzazione.

Autogestione come controcultura e socialità alternativa. Ossia autoformazione,  controinformazione: elaborazione di pensiero critico, informazione alternativa, scambio e trasmissione delle conoscenze che ci interessano, produzione di una cultura in funzione dell’individuo e non di chi comanda. E ancora: apertura di spazi (anche temporanei) di socialità diretta senza barriere culturali/sociali, sperimentazione di una convivenza basata su rapporti orizzontali anziché gerarchici.

 

E il collegamento con l’università? Questa dovrebbe essere il cuore libero e pulsante della vita culturale societaria: è il luogo dove si fa “cultura ufficiale” ai più alti livelli, ed anche dove si accumulano le maggiori sacche di resistenza e pensiero critico (ricordate il discorso di Calamandrei, appeso in ogni facoltà dagli studenti durante l’Onda?), oltre a concentrare grandi masse di giovani.

Sull’università si concentra innanzitutto il discorso su autoformazione e socialità alternativa.

Ma si può andare oltre: ora come ora, per come è organizzata, l’università si trova ad essere collegata alla società solo tramite l’adeguamento al mercato del lavoro, e scollegata per quanto riguarda quasi ogni forma di interazione culturale.

L’organizzazione di eventi autogestiti da parte di studenti e non studenti – continuativi come una  ciclofficina o un giornalino, o temporanei, come un’assemblea o una serata – può essere (oltre che un’esperienza bella ed utile!) la chiave per costruire l’auspicabile ponte tra atenei ed esterno, e andare a investigare quale debba essere il ruolo dell’università nella società (una discussione che certo meriterebbe di essere portata avanti ad ogni livello, anche istituzionale, al posto del costante disinvestimento su una risorsa e un diritto fondamentali). Di qui passare a considerazioni sul modo in cui il sapere viene trasmesso e a quali esigenze soddisfa, e valutare qual è il livello di fruibilità di questo sapere (discorso innanzitutto sul accesso all’università e diritto allo studio, secondariamente su brevetti e diritto d’autore).

 

Vogliamo cominciare quanto prima – da buoni scienziati – sperimentando iniziative pratiche. Sei interessat*? Scrivici: retazione@libero.it , oppure vieni a parlarne direttamente in collettivo!

 

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