Tutti al presidio contro gli assalti del padrone

Dal manifesto del 15.
Hanno partecipato al presidio anche alcuni studenti di CittàStudi. 


 


Mariangela Maturi
MILANO
Altra giornata campale per i lavoratori della Innse
Presse di Milano. Quarantanove operai contrastano la chiusura della
loro fabbrica con un presidio permanente. Ieri hanno dovuto difenderla
dal padrone che ancora una volta ha mandato i camion per prelevare i
macchinari.
Nell’area ex-Maserati gli stabilimenti hanno chiuso i
battenti uno dopo l’altro. La Innse produceva presse con macchinari in
ghisa costosissimi. Il proprietario, Silvano Genta, di formazione
rottamatore, era stato presentato come «il salvatore della Innse» due
anni fa. Lo scorso giugno ha deciso di chiudere, vendere le presse e
guadagnare milioni di euro, lasciando il terreno alla speculazione
edilizia affamata di nuovi progetti in vista dell’Expo. Il paradosso è
che la produzione andava bene. Per tre mesi i lavoratori hanno
continuato a lavorare autogestendo commesse, produzione, mensa e turni.
Questo autunno sono stati buttati fuori e hanno piazzato un camper
davanti alla fabbrica per presidiare il posto di lavoro giorno e notte.
Il 18 dicembre Genta aveva già tentato di varcare i cancelli per
prelevare i macchinari. Ieri mattina, alle 6, ci ha riprovato, ma è
stato nuovamente respinto da 150 persone.
La storia di questa
resistenza è nata in sordina, neppure sindacati e istituzioni speravano
che si potesse far qualcosa. Adesso persino la Regione Lombardia cerca
di trovare un accordo. Anche perché sin da giugno un possibile nuovo
acquirente c’era, la ditta Ormis.
Ieri mattina l’assessore
all’Istruzione della Provincia Giansandro Barzaghi e il consigliere
provinciale Luca Guerra si sono incatenati ai cancelli per impedire lo
smantellamento della fabbrica. Nel frattempo, il vicepresidente della
Regione, Gianni Rossoni, ha ufficializzato l’intenzione di incontrare
le forze in gioco martedì prossimo. Nell’attesa non si tocca nulla.
«Martedì
sarà tutto da costruire – ha dichiarato Luciano Muhlbauer, consigliere
regionale del Prc – è da vedere quale atteggiamento deciderà di tenere
il Comune, fino ad ora di fatto assente». Concorda Piero Maestri,
consigliere provinciale di Sinistra Critica: «Le istituzioni devono
risolvere la situazione di una fabbrica che muore per una
speculazione».
Dietro la chiusura della Innse ci sono molti
interessi. Per la Aedes, società titolare del progetto di
riqualificazione della zona, si tratta di una miniera d’oro. Stando al
sito della Aedes, si scopre che una piccola quota (il 2%) è di Silvio
Berlusconi. Sorpresa. «Riflettendoci – constata Piero Maestri – chissà
cosa dice il premier sulla fine di una società produttiva, viste le sue
dichiarazioni sulla crisi…». Fatto sta che ora altri lavoratori delle
fabbriche in crisi si sentono molto più vicini ai colleghi della Innse.

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onda anomala in galleria 15 gennaio

Dopo l’interfacoltà di martedì, oggi alcune decine di studenti hanno svolto un’azione comunicativa in galleria con volantini, torcie, megafono, mentre veniva srotolato uno striscione dalla balconata. Ribadito il no al DL 180 (convertito in legge) e alle politiche del governo in materia di istruzione.

Comunicato Stampa:

L’onda Anomala Milano ritorna a farsi sentire. La conversione in legge del DL 180 non ferma gli studenti che oggi, 15 Gennaio 2009, riprendono la mobilitazione.
Galleria Vittorio Emanuele, uno striscione calato dall’alto di una balconata.
Una cinquantina di studenti con volantini, torce colorate e megafono, dimostrano la voglia di andare avanti con lo slogan "180 volte no.  Voi approvate – noi blocchiamo"

 

 

volantino distribuito:       volantino interfacoltà.doc

 

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INTERFACOLTA’ MARTEDì 13 H 14 IN FESTA DEL PERDONO

è convocata un’assemblea interfacoltà per martedì 13 alle 14 in festa del perdono (aula da definire). si discuterà di come impostare il lavoro nei prossimi mesi e di come dare una risposta (ormai non più) immediata all’approvazione del DL 180 che è avvenuta giovedì.
siete tutti invitati a partecipare, appuntamento per cittastudi in atrio aula magna in fdp (così evitiamo di perderci).

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9 gennaio

tra il 7 e l’8 gennaio la Camera vota – con la fiducia – la trasformazione in legge del DL 180.

venerdì 9 gennaio alle 12.30 ci vediamo a fisica in aula D, per discutere di questo e delle iniziative decise all’ultima assemblea.

coord. città studi 

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Rassegna stampa del 31 dicembre 2008

Dal manifesto:


L ANALISI DELL ULTIMO MICROMEGA
ONDA ANOMALA


Un documentato numero della rivista sul
movimento. Ma con un editoriale che considera un esercizio di cattiva
ideologia le innovative analisi prodotte sul mercato del lavoro e
sull’università

Francesco Raparelli
Lo speciale di MicroMega Un’Onda vi seppellirà è
davvero un materiale prezioso. In prima fila il lungo testo di Emilio
Carnevali e Cinzia Sciuto che ricostruisce con grande completezza e
serietà la discussione politica interna al movimento. A seguire la
tavola rotonda, la prima, anch’essa occasione di approfondimento utile
e ricca. In generale un testo che verrà letto e che accompagnerà la
ricerca di tante e tanti, di chi il movimento lo ha visto dall’esterno
e per questo vuole capirne qualcosa in più, ma anche di chi il
movimento lo ha vissuto in prima persona e dunque vuole capire meglio,
riconnettere i fili dell’esperienza vissuta. Con facilità possiamo
parlare di un esperimento ben riuscito.
La mia attenzione, per ovvi
motivi, si appunterà sull’editoriale di Flores d’Arcais. Secondo
Flores, infatti, la potenza del movimento sta per essere cancellata
dalle ideologie e dai gruppuscoli, incapaci di fare i conti con la
complessità del presente, avidi di piccoli poteri massimalisti,
funzionali all’establishment politico. La cosa divertente, poi, è
l’identificazione teorica di questi gruppuscoli: l’ideologia
all’interno del movimento non è rappresentata da chi parla ancora di
una vuota (perché non articolata e non attualizzata) quanto inefficace
«unità operai-studenti», né tanto meno da chi (e purtroppo ce ne sono)
al discorso dell’autoriforma contrappone la rivoluzione socialista con
tanto di partiti e partitini comunisti in testa; l’ideologia è quella
di chi parla di general intellect e di nuove figure produttive.
Hegeliano e ideologico secondo Flores è chi si sforza di guardare con
lenti nuove ai processi produttivi e al rapporto tra formazione e
lavoro; chi, da materialista, non può non fare i conti con una
composizione del lavoro completamente mutata, dalle forme contrattuali
al modo stesso di lavorare (ma la macchina informatica è l’equivalente
della catena di montaggio?).
L’esperienza della precarietà
Vent’anni
di riforme europee, libri bianchi, new-economy e deregulation
contrattuale, sembrano d’improvviso non contare nulla. Ma non è di
certo necessaria la sociologia del lavoro per rispondere a Flores,
sarebbero sufficienti, infatti, i racconti di chi da precario vive oggi
il mercato del lavoro, fuori e dentro l’università. Parlare di un modo
nuovo di lavorare significa ormai raccontare qualcosa che appartiene
all’esperienza di tutte e tutti, per lo meno di chi ha tra i venti e i
trent’anni. Non si tratta di certo di una figura unica e omogenea: il
nuovo lavoro precario e cognitivo (relazionale, affettivo,
comunicativo) è molteplice e frammentato; in più si svolge e si allarga
all’interno di un sistema produttivo sempre più integrato globalmente.
È
vero i lavori sono molti, sono ampie le sacche, specie sul piano
globale, di lavoro operaio tradizionale: ma quando ad essere centrale
era il lavoro operaio fordista forse non persistevano forme produttive
di altra natura? E ancora dire che il lavoro, soprattutto di nuovo
tipo, incorpora qualità comunicative e relazionali (che non vuol dire
di certo alte competenze tecnico-scientifiche) significa costruire una
nuova ideologia gruppettara o parlare della realtà lavorativa in
Europa? Basterebbe, inoltre, definire la continuità delle lotte
europee, dal movimento anti-cpe del 2006 in Francia, all’Onda, fino
all’esplosione greca di queste settimane per cogliere, nel vivo delle
lotte, un tessuto sociale e generazionale nuovo, precario e senza
futuro, per la maggior parte interno ai cicli delle formazione
superiore o all’intermittenza formazione-lavoro.
Siamo convinti che
Flores abbia equivocato, forse mosso da fantasmi del suo passato
personale e collettivo. Dire che questo movimento non si è posto e non
si sta ponendo il problema delle riforme è altrettanto sbagliato.
La
tematica dell’autoriforma, infatti, propone un modo nuovo di procedere:
l’università così com’è non va bene, l’università può e deve
sperimentare il cambiamento attraverso un lungo processo di riforma dal
basso, processo che non ha governi amici (d’altronde le spinte
riformiste che hanno distrutto l’università negli ultimi quindici anni
non sono di certo targate centro-destra).
La Repubblica che verrà
Avversata
da chi, sicuro del futuro socialista, la vede figlia di un meccanismo
concertativo (spiegano bene questo punto di vista Sciuto e Carnevali),
l’autoriforma parla del desiderio di riconquistare democraticamente le
grandi istituzione del welfare, quelle stesse istituzioni che la
strategia liberista vuole dismettere e dislocare sul terreno del
mercato (quanto si spende in Usa per formazione e sanità?). Certo per
far questo non basta la lotta degli studenti e dei ricercatori, ci
vorrebbe anche il coraggio di chi nella docenza ritiene questa
università insopportabile almeno quanto quella che viene (fatta di
aumento delle rette, differenziazione dei finanziamenti,
privatizzazione della ricerca).
Per chiudere sulla questione del
repubblicanesimo anti-establischment. Qui davvero l’equivoco si fa
ancora più divertente. Vale oggi, infatti, il principio repubblicano,
perché forme di vita, istanze etiche e modi di produzione prendono le
distanze dalla tradizionale mediazione socialista o statalista (proprie
dell’accumulazione fordista-keynesiana). Repubblica perché non Stato e
non Repubblica statalista e forcaiola.
È forte nel movimento un
atteggiamento legalista anti-establishment, è vero, ma è un
atteggiamento che aggredisce l’intero sistema della rappresentanza
politica e allude ad una legalità di nuova natura, repubblicana
appunto, perché prodotta dal basso, nelle lotte. Un repubblicanesimo
della libertà e dell’autogoverno è quello che si esprime
nell’autoriforma dell’Onda.
Pochi appunti, per fare premio a chi ha
dato vita ad un ottimo esperimento editoriale, ma che forse ha centrato
male il bersaglio della sua critica.


Tra governo e Onda partita ancora aperta
Giuseppe Caliceti
Il primo tempo della partita sulla scuola tra
governo e Onda primaria che si è giocata nel 2008 si è chiuso in
sostanziale parità. Dopo i tagli sconsiderati inflitti nell’estate, c’è
stata una pronta e in parte inaspettata reazione da parte del mondo
della scuola pubblica italiana che ha smascherato i tentativi di
Gelmini di giustificarli in ogni modo, al punto di farla tornare,
almeno a parole, sui suoi passi. In realtà la partita è ancora aperta e
il secondo tempo è fissato proprio con l’inizio del 2009. Dai primi
mesi si riapriranno infatti le iscrizioni alla scuola primaria.
Gelmini, in evidente difficoltà, ha dichiarato che i genitori degli
alunni potranno scegliere tra vari tipi di scuola: il maestro unico a
24 ore, il maestro prevalente più gli specialisti a 27 o 30 ore, i due
docenti su una classe che rappresentano il tempo pieno a cui siamo
abituati di 40 ore. Tutto fumo negli occhi. Perché ha aggiunto una
clausola non da poco: «salvo disponibilità dell’organico». E Gelmini ha
programmato uno dei più grandi «tagli» al personale che la scuola
italiana ricordi: 250.000 posti di lavoro in tre anni. Ci sono comitati
genitori-docenti anti-Gelmini che oggi propongono, come anche noi
avevamo suggerito alcuni mesi fa in modo provocatorio, di richiedere
compatti come genitori degli alunni il tempo pieno, trasformando il
momento dell’iscrizione in un referendum dal basso. Una buona idea. Ma
cosa si aspettano? Che Gelmini li accontenti? O di svergognarla? A
parole è già tornata più volte sui suoi passi. Senza alcun pudore. Non
è più questo il punto. Occorre che l’Onda primaria, dopo la forte
mobilitazione che c’è stata nel 2008, non si senta troppo ottimista.
L’obiettivo del contendere è sempre lo stesso: il taglio ai fondi e al
personale della scuola pubblica. Nonostante le dichiarazioni fatte,
Gelmini non aumenterà mai le scuole a tempo pieno perché sono
«antieconomiche». Ammettiamo che i genitori compatti chiedano per i
figli le 40 ore del tempo pieno: tirerà fuori, semplicemente, la
clausola della mancanza d’organico. In realtà Gelmini farà come ha
fatto la Moratti: cercherà di abbattere il tempo pieno. E’ sempre
questo modello di scuola a essere in ballo, nonostante le rassicuranti
false parole del ministro. Questo è il disegno iniziale. Per questo è
nata la promozione del «maestro unico». Facendo saltare il modulo che
prevedeva tre insegnanti su due classi, Gemini ha raggiunto un primo
obiettivo: su due classi ora ci saranno due docenti e non tre. Ma il
piatto grosso resta sempre il tempo pieno con due insegnanti su una
classe: nella testa di Gelmini-Tremonti questo è uno spreco
intollerabile, corrispondente a un possibile risparmio del 50pre cento.
Tutto e subito. Da oltre quindici anni non vengono istituite in Italia,
se non in casi eclatanti, classi a tempo pieno. Non è un caso.
Difficile pensare che Gelmini le istituirà. Nonostante ogni tipo di
protesta. E’ più facile che salti lei come ministro o salti questo
governo. L’Onda perciò non si monti la testa. L’obiettivo a medio
termine resta quello di garantire il tempo pieno e il suo corretto
funzionamento lì dove già esiste: questo sarebbe già un ottimo
risultato. Perché una cosa è dire che esiste, altra è metterlo in
pratica. Per esempio, senza alcuna compresenza il tempo pieno è già
annacquato, senza uscite didattiche, senza attività laboratoriali.
Oggi
siamo in una lotta di contenimento, di difesa di quanto altri prima di
noi avevano ottenuto e che oggi stanno togliendo ai nostri alunni e ai
nostri figli. Pretendere di più da questo governo non è realistico.
Piuttosto l’Onda inizi a chiedere con più forza le dimissioni di
Gelmini e del governo. Al resto penseremo poi. Magari lottando con un
ministro dell’Istruzione di centrosinistra. Partita dura anche quella.

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solidarietà agli operai della INNSE

Riportiamo il comunicato del 5 dicembre degli operai della Innse di via Rubattino, che non si sono arresi al licenziamento e lottano perchè la fabbrica riapra anzichè essere smantellata.

L’1 gennaio sono ancora lì in presidio permanente e continuano a resistere. E’ importante fargli sentire la solidarietà della cittadinanza perchè dà forza alla loro lotta, chiunque voglia passare in via Rubattino 81 sarà bene accolto a qualunque ora.

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31 maggio- 30 novembre. 6 mesi di lotta, nessun cedimento
SOLIDARIETA’ AGLI OPERAI DELLA INNSE-PRESSE
Siamo i 50 dipendenti di INNSE, purtroppo divenuti 49 in seguito alla scomparsa del caro compagno Giuseppe, stroncato lunedì 21 Luglio da un infarto causato probabilmente dalla stressante situazione degli ultimi periodi.
Dopo aver ricevuto le raccomandate dalla nostra azienda in data 31 Maggio che sancivano l’apertura della procedura di mobilità, ci siamo radunati davanti ai cancelli chiusi della fabbrica e dopo aver eluso la sorveglianza di polizia, vigilantes privati e tirapiedi del padrone, abbiamo occupato lo stabilimento e proclamato assemblea permanente. Il 3 giugno decidiamo di continuare a lavorare contro l’imposizione del padrone che vuol fermare l’officina. Proseguiamo le lavorazioni in corso, incontriamo i clienti gestendo direttamente come operai, produzioni, servizi, e presidiando la fabbrica giorno, notte e fetivi.
Questa officina funziona, nonostante qualcuno ne dica il contrario, è l’unica risorsa per noi e le nostre famiglie, e siamo determinati a difenderla fino alle estreme conseguenze.
Il padrone Silvano genta la acquistò due anni or sono dalla amministrazione controllata ottenendo sgravi e prezzi stracciati, dichiarando nelle sedi della provincia di volerla rilanciare…
Genta ha conclusa la procedura licenziandoci tutti il 25 Agosto, pur avendo davanti un industriale bresciano pronto a rilevare la INNSE. La commsisione regionale non ha potuto far altro che registrare il mancato accordo e aprire la mobilità. A cosa serve la commissione regionale è la domanda che ci facciamo tutti. Abbiamo chiesto al prefetto di imporre a Genta la sospensione dei licenziamenti in attesa dell’incontro di Roma del 2 Settembre, non ha potuto farlo. Anche il scalcinato ed irregolare padrone ha più potere di qualunque istituzione, è un’amara scoperta. La riunione al Ministero dello Sviluppo Economico doveva aprire la trattativa fra il vecchio ed il nuovo padrone ma non è servita nemmeno a dar ritirare i licenziamenti. Genta ha detto no anche al Ministero. Una nuova riunione viene convocata per il 12 Settembre a Roma, noi abbiamo continuato a lavorare anche se licenziati.
Il giorno 10 Settembre, giorno di paga, non arriva un euro, eppure nella lettera di licenziamento è scritto che avrebbe pagato il preavviso. La risposta è immediata, blocco di via Rubattino per tutto il giorno. Genta non solo non paga, ma si rifiuta di venire a Roma al Ministero, salta la riunione del 12.
All’alba del 17 Settembre alle ore 05:30 la forza pubblica entra in fabbrica mette alla porta gli operai che presidiava nolo stabilimento di notte, blocca l’entrata del primo turno. La fabbrica è messa sotto sequestro. Un fatto nuovo, agli operai viene impedito con la forza di “poter lavorare”. Un crollo verticale della credibilità di tutte le decantate “politiche del lavoro”, un crollo della crediblità delle istituzioni politiche che non riescono a fermare un padrone come Genta. Ora siamo in mezzo alla strada, davanti ai cancelli della fabbrica. Noi siamo fuori, ma è fuori anche genta, come si risolverà è ancora tutto da vedere. Noi resisteremo.
Fine ottobre: da un mese e mezzo siamo accampati vicino all portineria. Presidiamo la fabbrica che è sottosequestro. Non vogliamo che qualcuno metta le mani sui macchinari e smantelli l’officina. Intanto fra riunioni convocate e rinviate la situazione di stallo continua.
Genta non vuole rinunciare al suo affare, vendersi le macchine svuotare il capannone, stracciando tutti gli impegni della legge Prodi che gli ha permesso di acquisire lo stabilimento per quattro soldi. Impegni che prevedevano “lo sviluppo” dell’INNSE.
L’AEDES l’immobiliare spinge per avere l’area libera. Ora sono i palazzinare che chiudono la fabbrica.
ORMIS il potenziale acquirente, dichiara che è disposto ad acquisire ma la trattativa è ferma.

Le istituzioni continuano ad attivarsi, ma il freddo è iniziato. Gli operai e gli impiegati sono decisi a resistere, arriverà la primavera.
Fine novembre, è arrivato il freddo. La stufa a legna funziona a pieno ritmo, il presidio pure. La neve, la pioggia e il fredo ci hanno piegato, ma siamo ancora lì 24 ore su 24, sabato e domeniche comprese.
Non ci ha scoraggiato nemmeno il comunicato congiunto AEDES-Genta, dove c’è scritto che la fabbrica non potrà riprendere a lavorare. Ci fanno un baffo. ORMIS è ancora disposto all’acquisizione.
Per piegarci hanno tentato anche di chiamare individualmente qualcuno e offrire elemosina: la risposta è stata chiara, una dichiarazione sottoscritta da tutti i dipendenti, “qui si tratta collettivamente, Genta non disturbarci”.
Genta arrriva ogni tanto e col permesso del Magistrato entra in fabbrica con qualche scusa, si fa accompagnare dalle forze dell’ordine, ma l’ultima volta la tensione è andata alle stelle. Sarà sempre peggio. Si permette di non pagare le spettanze (preavviso e tfr), pur avendo ricevuto i decreti ingiuntivi, faremo pignorare i macchinari così si dovrà scordare di via Rubattino.
Siamo al 5 dicembre, l’AEDES proprietaria del terreno, sull’orla del fallimento, meno 86% in borsa dall’inizo dell’anno vuol chiudere una fabbrica che può riprendere a lavorare domani. Il prefetto glielo farà fare? E il sindaco di Milano? E il presidente della provincia? E il ministero delle attività economiche? Permetteranno questo crimine industriale?
Può l’expo iniziare con lo smantellamento di una fabbrica storica di Milano?
Non lo permetteremo, GIU’ LE MANI DALL’INNSE!
Un’officina che chiudi sono posti di lavoro persi per sempre. VI ringraziamo per la vostra solidarietà, siatene orgogliosi
Per inviare le sottoscrizioni raccolte: Bollettino postale c/c n. 22264204 intestato a: Ass.Cult. ROBOTNIK ONLUS Bonifico Bancario: IBAN IT 51 O 0760101600000022264204. Dall’estero, se la banca dovesse richiederlo, questo è il codice BIC o anche detto SWIFT: BPPIITRRXXX. Mettere sempre e in ogni caso la causale: Lotta operai INNSE.
Per inviare legna da ardere e derrate alimentari: Via Rubattino 81 Milano.

Milano Lambrate 5 dicembre 2008
RSU- Operai, impiegati e famiglie della INNSE –>

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Rassegna stampa 24 dicembre 2008

Dal manifesto di oggi.


GRECIA, CONTINUA LA PROTESTA DEGLI STUDENTI
Spari contro un furgone della polizia

(n. v.)
Spari contro un furgone della polizia. È successo di nuovo ad Atene, ieri mattina, mentre una squadra antisommossa usciva dalla stazione di polizia del quartiere di Goudi. Alcuni sconosciuti hanno aperto il fuoco, colpendo un pneumatico e il motore, senza che nessun poliziotto all’interno del furgone risultasse però ferito. I colpi sparati sarebbero stati sette e non due, come riportato inizialmente dai media, e nella serata di ieri l’attacco è stato rivendicato da un gruppo denominatosi «Azione popolare». La squadra antiterrorismo ha aperto un’indagine.
L’episodio si inserisce nel clima di rivolta che imperversa ad Atene e in tutta la Grecia da tre settimane, da quando, il sei dicembre, un poliziotto ha ucciso il quindicenne Alexis Grigoropolous durante degli scontri con i gruppi anarchici nel quartiere di Exarchia. Da allora le strade ateniesi sono state attraversate da un costante vento di protesta, che ha portato pacifiche dimostrazioni di dissenso, assemblee, occupazioni, ma anche scontri aperti e saccheggi di negozi del centro. I giovani, studenti e disoccupati, hanno visto nell’episodio l’ultima atrocità siglata da un governo – quello conservatore del premier Costas Karamanlis -, che vede già un forte calo del consenso. In questo clima, gli attacchi rivolti contro i veicoli e il personale di polizia sono stati frequenti, ma quello di ieri a Goudi è il primo in cui sono state impiegate armi da fuoco.
Sempre ieri, una manifestazione studentesca ha nuovamente sfilato per le vie del centro, senza che si verificasse alcun incidente. Il Politecnico, l’università occupata insieme alle facoltà di economia e di legge, aspettava uno sgombero da parte della polizia durante la notte scorsa, che è invece trascorsa tranquillamente. Le occupazioni degli atenei proseguono da 17 giorni, e gli studenti iniziano a sentire il peso di una rivolta così prolungata nel tempo e senza precedenti. Ma gli attivisti si augurano che il movimento prosegua anche nell’anno nuovo.


APPUNTI DI SCUOLA
La verità sull’Italia che Gelmini nasconde
Giuseppe Caliceti
Come si distrugge la scuola pubblica italiana? Primo: distruggendo quello che funziona meglio. Se c’era un ordine scolastico che in Italia andava bene era la scuola elementare italiana. Ma proprio su di lei ha iniziato ad abbattersi la furia finto riformatrice di Gelmini. La conferma di un’ottima scuola di base in Italia arriva dal rapporto Timss 2007 – Trend in international Mathematics and Science study. È l’indagine che misura le competenze in matematica e scienze degli alunni al quarto e all’ottavo anno di scolarità. L’edizione 2007 del Timss riporta i dati relativi agli alunni di 59 paesi distribuiti nei 5 continenti e, per l’Italia, fa il paio con i confortanti risultati di un’altra indagine internazionale: il Pirls 2006 – Progress in international reading literacy study – che indaga sulla comprensione della lettura dei bambini al quarto anno di scolarità. I dati, recentemente diffusi, fanno riflettere non poco. Specie dopo la soppressione annunciata da Gelmini, a partire dal prossimo anno, nella scuola primaria, del cosiddetto «modulo» (tre insegnanti su due classi). Risultati che sono figli più che legittimi proprio del Modulo che, introdotto nel 1990, dal prossimo anno cesserà di esistere lasciando spazio ad un maestro cosiddetto «prevalente» che insegnerà nella stessa classe per 22 ore settimanali lasciando ad un secondo insegnante il completamento dell’orario a 24, 27, 30 o 40 ore settimanali. Rispetto al 2003 i bambini italiani migliorano le loro performance, confermandosi ai primi posti in Europa dove si piazzano all’ottavo posto in matematica e al quarto posto in scienze. Risultato che assume maggiore importanza se si considera che i nostri alunni di quarta elementare, con una età media di 9,8 anni, sono più piccoli dei corrispondenti compagni degli altri paesi: tutti con età superiore a 10 anni. A livello mondiale la concorrenza dei paesi asiatici (Hong Kong, Cina e Singapore ai primi posti) fa scivolare l’Italia al sedicesimo posto in matematica e al decimo posto in scienze, sempre e comunque con un «rendimento significativamente più alto della media internazionale», a quota 500 punti. I bambini italiani prevalgono su quelli svedesi e norvegesi e, in scienze, anche sui compagni tedeschi.
Entrando più nei particolari, il Timss mostra che gli alunni del nord-est italiano sono in assoluto i più bravi. Invece quelli del sud-isole arrancano. Trend opposto per i ragazzini all’ottavo anno di scolarità. Gli alunni che frequentano la terza media in Italia rimediano l’ennesima figuraccia: collocano al di sotto della media internazionale. Dati alla mano, qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso può rendersi conto di una cosa assai semplice da constatare: i bambini italiani escono dalle elementari più che preparati ma, dopo aver frequentato tre anni di scuola media, si ritrovano indietro nella preparazione. Difficile capire che, se proprio si vuole iniziare a parlare seriamente di riforma, bisogna partire dalle scuole medie? Evidentemente sì. Per Gelmini si parte infatti a rovinare la scuola pubblica italiana dalle elementari, l’ordine di scuola che funzionava meglio di tutto il processo formativo italiano. Un ottimo inizio, non c’è che dire. Ma allora di che qualità si parla? Di quale merito? Di quale eccellenza? Semplice: si guardano solo i dati – negativi – che in qualche modo possono giustificare un pesantissimo taglio ai fondi e al personale scolastico italiano della scuola pubblica. Il resto non si guarda. Anzi, a Gelmini probabilmente danno fastidio questi dati che testimoniano inequivocabilmente il buon funzionamento della scuola di base italiana perché mettono il dubbio, in un’opinione pubblica massicciamente pilotata a fini strumentali sul tema scuola da mesi e mesi, che quello che dice Gelmini non ha capo né coda.

 

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Rassegna stampa 19 dicembre

Dal manifesto di oggi.


UNIVERSITA’
Nel nome di Minerva
L’università italiana ha mille difetti. Ma spesso non sono quelli che vengono superficialmente denunciati quasi all’unisono, da destra e da sinistra. Andrebbe curata, ma va soprattutto difesa se non altro perchè il tenore delle critiche che si leggono sui giornali fa sospettare che gli autori degli articoli non ce l’abbiano fatta ad arrivare alla laurea
Umberto Eco
L’università italiana è in crisi, e lo era in anticipo su Wall Street. Ma, mentre sulla crisi economica tutti hanno idee chiare perché sanno quanto hanno perduto o quanto gli manca per finire il mese, sulla crisi dell’università vagano idee imprecise. Nulla di eccezionale, visto che si tratta di argomento specializzato, e nulla da eccepire se al Tre Palle un Soldo che si sta giocando sull’università eccellono coloro che fondano il loro potere sulla diffusione della cultura trash, ma paiono rischiose numerose generalizzazioni che vagano in formazione bipartisan, sia da destra che da sinistra.
Se le idee sono confuse, più confusi ancora saranno i suggerimenti per uscire dalla crisi e, se quanto sta avvenendo intorno all’università italiana avvenisse intorno alle crisi bancarie, dovremmo leggere sui giornali ricette su come ovviare ai crolli in borsa organizzando catene di sant’Antonio o affidando la sorveglianza del mercato a Vanna Marchi.
Un esempio tra tutti, la ventata d’indignazione che ha percorso la stampa all’apprendere che all’Istituto Orientale di Napoli esiste un corso di lingua berbera frequentato da un solo studente. Mi pare che poi qualcuno abbia dimostrato che nei dati ministeriali quel numero uno associato a certi corsi voleva solo dire che non c’erano dati a disposizione, ma non è questo il punto: si dimentica che l’università non è solo il luogo della didattica ma anche quello della ricerca, e che se esiste un istituto dedicato allo studio delle civiltà asiatiche e africane, questo istituto deve avere un insegnamento di lingua berbera anche se non avesse nessun studente. Questo vuole dire che nell’università non ci sono sprechi? Ce ne sono moltissimi, specie nella parcellizzazione degli insegnamenti durante il triennio, ma ecco che se non si capisce dove ci sono e si vanno a cercare altrove la crisi non la risolve nessuno.
Scandalo dei professori nepotisti che mettono mogli figli e amanti in cattedra. Voci false? No, notizie vere, ma tutti sanno che questo avviene per certe materie dove il titolo accademico fa lievitare le parcelle nel corso dell’attività extrauniversitaria, mentre è difficile che un professore di filologia bizantina arricchisca i suoi congiunti facendoli ricercatori in un insegnamento dove al di fuori dello stipendio non ci sono prospettive milionarie. E allora? A Napoli impera la camorra ed è una verità sacrosanta, ma questo non induce a dire che tutti i napoletani (e pertanto anche il nostro presidente della Repubblica) sono camorristi.
Si arriva all’università per cooptazione, e questo scandalizza alcuni («si fanno i loro affari tra loro») come se un professore di analisi matematica potesse essere scelto e nominato dal presidente della corte d’appello, dal comando dei carabinieri o eletto dal popolo. Ma cooptare non vuole necessariamente dire procedere per concorsi dove si finge che vinca il migliore. Prima di tutto perché in numerose discipline è difficile dire chi sia il migliore: si pensi che a un concorso di filosofia del linguaggio può presentarsi un filosofo analitico che ha scritto quattro saggi di semantica formale e un ermeneutico che ha scritto due volumi di cinquecento pagine su Gadamer e – posto che entrambi siano bravi nella loro specialità – è difficile fare una classifica.. Non solo, non è detto che una università abbia sempre bisogno del migliore in campo. Faccio un esempio, tenendo d’occhio quel che accade nelle università americane: si supponga che l’università abbia già due geni di fisica teorica, ottimi direttori di ricerca ma scarsamente interessati alla didattica e che abbia urgente bisogno non di un terzo genio ma di un insegnante di buone capacità che voglia dedicarsi corpo e anima all’insegnamento della fisica teorica alle matricole. Ecco che l’università disegnerà un profilo ed elaborerà criteri di selezione che le permettano di scegliere la persona giusta, al prezzo che è disposta a spendere.
Non voglio insistere sulla mia vecchia proposta che vedo ogni tanto ripresa: una commissione nazionale sceglie ogni due o tre anni quegli studiosi che ritiene idonei (non necessariamente i migliori al mondo, ma coloro che potrebbero dignitosamente insegnare quella materia) e dopo i vari atenei scelgono in quella lista secondo le loro esigenze. Qualcuno aveva a suo tempo obiettato che in una lista di idonei basta che alcuni commissari giochino sporco ed entrano anche dei cretini. E’ possibile, certo, ma in una lista aperta è impossibile escludere i bravi (come invece avviene in molti concorsi) perché per definire qualcuno come non idoneo un commissario dovrebbe impegnarsi in una pubblica e documentata analisi del suo lavoro mettendone in evidenza le pecche – e accettando che il suo giudizio sia a sua volta giudicato e accettato dalla comunità scientifica. Impresa rischiosa, se proprio non si è mossi da forte e scientifica indignazione.
Naturalmente il fatto che un ateneo possa scegliere dalla lista aperta e mettersi in casa il più cretino è sempre presente. Ma, anche senza auspicare l’abolizione del valore legale del titolo, se si diffonde la fama che quell’ateneo arruola solo parenti dei docenti in cattedra, dovrebbe diminuire l’afflusso di studenti (paganti).
Non volendo ricorrere alla lista aperta degli idonei si ricade nella formula concorsuale la quale è sbagliata per definizione e in ogni caso disadatta a controllare e scoraggiare le operazioni mafiose.
Anzitutto la meccanica concorsuale finge di essere fondata sulla valutazione e sulla possibilità di stabilire una gerarchia in termini di eccellenza. Se questo è possibile per alcune discipline scientifiche e in momenti specifici, si è visto che è pura retorica per le scienze umane. Persino l’abbondanza di citazioni è criterio dubbio: se vale, che so, per la cancerologia, dove chi è bravo dovrebbe aver pubblicato qualcosa in inglese, non vale affatto per uno specializzato (magari bravissimo) sul Tommaseo, che per forza di cose avrà pubblicato solo in italiano e pertanto verrà citato solo dai colleghi italiani e al massimo da qualche italianista straniero. Ogni nuova trovata per avere la formula quasi matematica del merito è aperta a contestazioni. So di un dottorato classificato in modo certamente inferiore alle sue qualità perché emergeva che i suoi dottori di ricerca non avevano messo che pochi testi on line; a nessuno era venuto in mente di controllare che tutti quei dottori avevano già pubblicato a stampa la loro tesi, magari presso editori prestigiosi, e che pertanto non potevano mettere on line materiale i cui diritti appartenevano all’editore.
Con criteri del genere è sempre possibile che una commissione di cinque membri che deve scegliere tra cento candidati (accade) possa far passare chi vuole, quando basta che di un candidato A si dica che il suo lavoro è «molto originale» ma di un candidato B si dica che è «notevolmente originale», e A è fuori gioco, anche se nessuno può dire che non sia stato valutato con rispetto. Ma vi sono altre caratteristiche dei concorsi che ingiustamente colpiscono l’immaginazione del laico.
Ad ogni tornata di articoli sui difetti dell’università si cita sempre il caso del solito candidato che consegna al notaio in busta chiusa il nome del futuro vincitore, e ci azzecca. Certamente questa sua capacità profetica denuncia un crimine quando il vincitore è persona di poco merito; ma che cosa significa quando il vincitore sia bravissimo? Se un professore fa il suo mestiere, e cioè si tiene al corrente di quanto viene pubblicato nel suo campo, dovrebbe già conoscere più o meno tutti coloro che si presenteranno al concorso. E non c’è nulla di strano che nell’ambiente, essendo noto un candidato A come bravissimo, corra la voce che, se il concorso viene fatto secondo giustizia, non potrà non vincere. Quindi il prevedere il vincitore può essere segno sia di vizio che di virtù del concorso. E tuttavia la notizia della previsione azzeccata provoca di solito ondate di pubblica indignazione.
Con queste idee abbastanza mitologiche sull’andamento delle cose universitarie è ovvio che anche i progetti di riforma vadano a colpire aspetti secondari del problema lasciando in ombra quelli più drammatici, e spesso peggiorando le cose. Un caso tipico è il progetto di costituire commissioni per sorteggio e non per elezione. Qualsiasi regolamento concorsuale (come d’altra parte ogni legge umana) viene fatta presumendo che gli uomini si comportino per definizione disonestamente (in un mondo di virtuosi le leggi non sarebbero necessarie). Quindi analizziamo le proposte di riforma concorsuale secondo il principio che il docente delinque per definizione.
Se è così in un sistema fondato sul sorteggio si potrà delinquere come prima: tu che sei sorteggiato mi fai il favore di sostenere A, e la prossima volta che saremo sorteggiati io o uno dei miei il favore ti sarà restituito.
Ma c’è di peggio. Come panacea viene ora proposto un sistema che prevede l’elezione da parte dei docenti di tre volte tanto i commissari possibili, dopo di che si procede per sorteggio. Benissimo, tranne che ci sono moltissimo raggruppamenti disciplinari dal numero abbastanza basso di docenti. Pertanto la maggior parte degli eletti (e probabilmente dei sorteggiati) apparterranno a una disciplina affine. Spesso, se il raggruppamento è molto specifico, la disciplina più affine ha poco a che vedere con esso. Ma (sempre partendo dal principio che il commissario di regola delinqua), un commissario sorteggiato, provenendo da disciplina affine, farà vincere un suo discepolo, che solo nominalmente ha competenza nella materia a concorso. D’altra parte anche il commissario può non essere in grado di giudicare con reale competenza candidati del raggruppamento affine. Come conseguenza, dopo il giudizio pronunciato da un incompetente, sarà un altro incompetente a occupare il posto di ricercatore, associato o ordinario. Come contributo al risanamento della didattica e della ricerca, non male.
Ecco qui poche osservazioni (fatte da chi ormai è in pensione e non ha da difendere posizioni di potere, non ha ricercatori, associati o ordinari che portino il suo cognome e francamente in quasi quarantanni di carriera nello stesso dipartimento non ricorda di aver avuto allievi o colleghi che fossero figli di barone) semplicemente per suggerire che, prima di procedere a proposte di riforma, occorre anche difendere un poco l’università italiana. Se non altro perché il tenore delle critiche che si leggono sui giornali è tale da far sospettare che gli autori degli articoli non ce l’abbiano fatta ad arrivare alla laurea.


SCUOLA Maestro unico e riduzione degli indirizzi per licei e istituti tecnici
Tagli per tutti, arrivano i regolamenti della Gelmini
Eleonora Martini
ROMA
Usa toni roboanti la ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini e paragona la sua «riorganizzazione delle scuole per l’infanzia, elementari, medie e superiori» niente meno che alla riforma di Giovanni Gentile del 1923. Ma a ben guardare i regolamenti attuativi del suo piano, approvati ieri dal Consiglio dei ministri, si capisce che la retromarcia a cui il governo era stato costretto dalla massiccia mobilitazione di protesta era solo uno scudo di parole dietro cui nascondere una grossa scure. Tagli su tutto: agli orari, alle discipline, agli organici e agli indirizzi di studio. L’Onda primaria e secondaria, il Pd e i sindacati (Flc-Cgil e Cobas) protestano. Le Regioni pure, tanto da far slittare l’approvazione di un altro regolamento attuativo, quello sulla riorganizzazione dei plessi scolastici prevista nella legge 133.
Nei decreti approvati ieri dal Cdm – che dovranno ora superare l’esame della Conferenza unificata delle regioni, comuni e provincie – viene innanzitutto abolito il modulo alle scuole elementari, ossia il modello didattico che prevedeva la compresenza di più docenti. E il maestro unico (o prevalente che dir si voglia) verrà introdotto obbligatoriamente dal settembre 2009 in tutte le classi e non come precedentemente annunciato solo nella prima elementare. Questo vuol dire, come ha puntualizzato la stessa ministra durante la presentazione di ieri, che tutti i bambini già abituati alle lezioni circolari con più maestre, dall’anno prossimo dovranno accontentarsi della didattica frontale di una sola docente. La scelta delle famiglie si limiterà invece al solo quadro orario: tempo scolastico a 24, 27, 30 o 40 ore. Ma si potrà ottenere il tempo pieno soltanto se l’istituto avrà a disposizione l’organico necessario. I più piccoli invece potranno essere iscritti alla scuola dell’infanzia già a due anni e mezzo e solo per loro sarà garantito il tempo pieno a 40 ore. Mentre alle medie «le due ore della seconda lingua potranno essere utilizzate per corsi di italiano per stranieri».
I decreti approvati ieri riguardano anche i licei e gli istituti tecnici, anche se per le superiori il piano entrerà in vigore dal primo settembre 2010. Secondo il governo «nei licei si passerà da 510 a 9 indirizzi», cosicché agli attuali scientifico, classico e linguistico si aggiungeranno due nuovi licei – scienze umane (le ex magistrali), musicale e coreutica (danza e musica) – e l’ampliamento dell’artistico con tre nuovi indirizzi (figurativo, design e new media). Per gli istituti tecnici il ridimensionamento prevede il passaggio da 204 indirizzi a 11, suddivisi in due macrosettori: economico e tecnologico. In questi istituti, a quanto pare, le imprese avranno più voce dei prof, visto che nel comitato scientifico scolastico potranno entrare «esperti e professionisti del mondo del lavoro». L’ultimo anno, poi, sarà occupato da uno stage in un’azienda. Infine, dal 2011 «i docenti migliori potranno ricevere un premio produttività che potrà arrivare fino a 7 mila euro». Apprezzabile almeno lo sforzo, invece, di moltiplicare il monte ore di inglese rendendolo obbligatorio per tutte le scuole di ogni ordine e grado, e potenziarlo alle medie. Meglio ancora l’idea di insegnare negli istituti tecnici una materia non linguistica in inglese.
Ma per i Cobas, che ieri hanno manifestato davanti a Montecitorio, il piano Gelmini è da bocciare senza appello perché prevede «tagli indiscriminati e modifica la struttura della scuola». La pensa così anche Maria Coscia, responsabile scuola per il Pd, che accusa: «Annunci roboanti per nascondere il taglio del prossimo anno di 42.000 docenti, di cui la gran parte nella scuola elementare». E aggiunge: «Hanno fatto un gran pasticcio: non c’è alcuna coerenza tra il piano programmatico già presentato e i regolamenti varati ieri». Dura condanna anche dal settore Conoscenza della Cgil: «La verità dei testi smaschera le tante bugie spese per raggirare l’opinione pubblica», attacca il segretario Mimmo Pantaleo che mette in luce come i «tagli previsti dalla legge 133 sono tutti confermati e si concentrano da subito sulla scuola primaria, il cui modello pedagogico e didattico fin qui realizzato viene spazzato via, per far posto al maestro unico». Per l’Flc-Cgil, come per la Gilda, non è accettabile che «a pochi giorni dall’impegno assunto dal ministro Gelmini di aprire un tavolo di confronto con i sindacati sui regolamenti applicativi della riforma», siano stati approvati «senza alcun confronto, confermando il metodo arrogante ed autoritario». Ad accusare il governo di mancanza di dialogo c’è però anche il presidente della conferenza delle Regioni, Vasco Errani, che dopo aver rimarcato come il governo abbia «svolto con noi un intervento tecnico preliminare, ma poi le cose non sono andate avanti», ha avvertito l’esecutivo: «Bisogna che ci si intenda su un punto: basta annunci roboanti, è successo già una volta e poi si è tornati indietro. Facendo così non si va da nessuna parte, lo dico nell’interesse della scuola».


PARIGI
Liceali ancora in corteo contro la riforma Darcos

a.m.m
PARIGI.
Erano 127mila, secondo la polizia, i liceali che hanno manifestato ieri in Francia, mentre molti licei – 40 a Parigi – sono bloccati. Per il 17 gennaio, al ritorno delle vacanze, è già convocata un’altra giornata di protesta. Il ministro dell’Educazione nazionale, Xavier Darcos, non solo è stato costretto a sospendere il progetto di riforma del liceo, ma ieri, di fronte alla crescita del malcontento giovanile, ha proposto gli «stati generali» della scuola, per «permettere a tutti i liceali di esprimersi». Darcos assicura: «ripartiremo da zero». Alcune bandiere greche, sventolate accanto agli striscioni delle rivendicazioni francesi, hanno fatto paura al governo di Nicolas Srakozy, che teme un’esplosione sociale.
I liceali non contestano l’idea di riforma, ma sono preocupati dei contenuti. Difatti, Darcos, dopo una diminuzione di 11.200 posti di insegnanti quest’anno, ha in programma un ulteriore taglio di 13.500 cattedre per il prossimo anno scolastico. Darcos ha cercato di rassicuare i liceali – «nessun posto sarà soppreso nei licei» – ma nessuno ci crede. Per Antoine Evernou, alla testa dell’Unl, la principale organizzazione dei liceali, «è impensabile parlare di riforma a fronte dei tagli delle cattedre». I liceali, che hanno preso il testimone della protesta degli studenti universitari, temono una scuola pubblica al risparmio, proprio mentre Sarkozy promette interventi per contrastare le differenze sociali ed etniche, con la nomina di un Commissario alla diversità (l’imprenditore Yazid Sabeg). Ieri, ci sono stati cortei in tutte le grandi città. A Lione, si sono verificati incidenti, auto e cassonetti bruciati e 38 fermi. A Digione è stato interrotto il traffico ferroviario.

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Rassegna stampa 13-18 dicembre

Qualche segnalazione molto selezionata dai giornali di questi giorni.

Riforma, un ritocchino da 120 mln, Il sole 24 ore, 16 dicembre 2008
Scuola, pugno duro della Gelmini, ItaliaOggi, 18 dicembre 2008

E poi due articoli dal manifesto del 13 e del 16.
Ricordiamo che oggi esce un numero speciale del manifesto a 50 € per la campagna «Fateci uscire».


UNIVERSITÀ
L’Onda attraversa la protesta: «Uniamo il fronte contro la crisi»
Giacomo Russo Spena
Lo avevano invocato. E quando è stato proclamato, lo sciopero generale, non hanno potuto che «attraversarlo». Perché, ripetono da tempo, «bisogna mettere in connessione tutte quelle realtà che pagano la crisi». Ieri ci sono riusciti. L’Onda degli studenti torna a mobilitarsi con delle manifestazioni locali, in tutte le principali città: cortei autonomi con tanto di azioni e occupazioni. I numeri sono in realtà inferiori rispetto al passato ed evidenziano un’Onda un po’ in risacca. Eppure i giovani dicono «di aver retto», nonostante la pioggia battente, parlando «di grande giornata d’opposizione sociale».
A Roma la manifestazione più riuscita con con quasi cinquemila studenti che sfidano l’alluvione, partendo dalla Sapienza e «attraversando» sia il corteo dei sindacati di base che quello della Cgil. Portano allegria con le loro canzoni (il camion pompa a ripetizione l’Esercito del surf), balli e colori in una cupa giornata. Ad aprire, lo striscione «Contro tagli, precarietà e privatizzazioni, generalizziamo lo sciopero», subito dietro un enorme telo blu, sorretto da decine di persone, che sventola. Si simula quell’Onda che ha fatto indietreggiare, in parte, la ministra Gelmini. «E’ solo una parziale vittoria» lo slittamento della riforma delle superiori, afferma Luca, «noi vogliamo il ritiro immediato di tutte le leggi di questo governo». Il taglio di un miliardo e mezzo d’euro per l’università infatti rimane. In piazza oltre agli studenti sfila il coordinamento genitori e insegnanti, con la scuola «ribelle» Iqbal Masih che apre lo spezzone. In coda c’è posto per il movimento Action e i Gruppi d’Acquisto Popolari, lì per contrastare il carovita e per far nascere «insieme alle altre specificità un nuovo soggetto sociale capace di autorappresentarsi». Lo striscione che sorreggono è eloquente: «L’opposizione si fa, non si declama». Intanto la pioggia si fa sempre più fitta, ma i manifestanti continuano a mettere pepe alla mobilitazione: i medi occupano uno stabile abbandonato (sgomberato però nel pomeriggio) e il comitato No-TurboGas lancia uova contro la sede della Sorgenia Spa, proprietaria della centrale a carbone di Aprilia. In contemporanea altri attivisti rioccupano l’Horus, centro sociale sgomberato il 21 ottobre scorso. Il corteo finisce, come solito, sotto il ministero dell’Istruzione dove inizia un lungo «assedio sonoro».
Bandiere greche, in ricordo di Alexis (il ragazzo ucciso ad Atene), una commemorazione in piazza Fontana e il lancio di vernice ad una banca caratterizzano invece la manifestazione di Milano che parte dalla stessa piazza dei sindacati autonomi. Dirigendosi poi verso la Statale che viene occupata. Solo poche ore, a causa di tensioni nate tra gli studenti nella gestione. Stessa musica a Bologna, Napoli e Torino. L’alta marea, forse, non c’è più, ma comunque gli studenti continuano a farsi sentire.


FRANCIA.
Bloccata la riforma del liceo
SARKOZY CEDE ALLE PROTESTE

a.m.m.
PARIGI
Sarkozy teme che la Francia diventi come la Grecia e che la protesta dilaghi nella scuola. Il presidente ha obbligato il ministro dell’Educazione nazionale, Xavier Darcos, a rimandare almeno di un anno la prevista riforma del liceo, che sta sollevando numerose contestazioni, sia da parte dei giovani che dei professori e delle famiglie. Difatti, i francesi temono che la riforma sia al ribasso, un modo per adeguare l’insegnamento pubblico ai tagli previsti: 11.200 posti di insegnanti in meno quest’anno e 13.500 il prossimo. Questa diminuzione del numero dei professori non viene però toccata. Per questo, i liceali, malgrado il ritiro momentaneo della riforma, mantengono la giornata di protesta per giovedì. Nelle ultime settimane, le manifestazioni si sono susseguite in Francia. Ci sono stati anche incidenti, soprattutto in Bretagna. Sarkozy ha scelto la prudenza, perché teme che il rifiuto delle modifiche alla scuola faccia da catalizzatore di tutti gli scontenti in un paese in cui la cassa integrazione dilaga. Per il socialista Arnaud Montebourg la Francia è «una pentola a pressione», pronta ad eplodere alla minima scintilla. I sindacati della scuola si sono rallegrati per «il primo passo indietro del governo. Le lotte cominciano a pagare».
La riforma del liceo avrebbe dovuto iniziare con l’anno scolastico 2009: semestri al posto dei trimestri, sistema modulare con concentrazione delle ore su un tronco comune e obbligatorio e solo due possibilità di scelta. Studenti, professori e famiglie contestano una riforma che appare un impoverimento delle possibilità. E l’Eliseo ha spinto Darcos «ad approfondire il lavoro di spiegazione», sperando così di evitare un’esplosione sociale.

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… Lotte di Natale …

Ed eccoci qua, con un’altra settimana (15/20 DICEMBRE) di iniziative.

MARTEDI’ h 16.30 A FISICA (VIA CELORIA 16), AULA D: riunione del coord. città studi con ordine del giorno: discussione interna al coord. di città studi e punto cassa, valutazione delle giornate dell’11 e 12 dicembre, prossime iniziative, interfacoltà di giovedì. + ovvio varie ed eventuali.

MERCOLEDI’ h 17 AD AGRARIA (VIA CELORIA 2): assemblea di città studi (statale e politecnico) e di quanti hanno partecipato all’occupazione di fisica di giovedì (collettivo kaos di bovisa in particolare) con odg: messa in comune e prosecuzione delle discussioni avvenute nei laboratori durante l’occupazione (autoriforma e strategia contro la 133), contenuti da portare all’interfacoltà di giovedì.

MERCOLEDI’ h 18.30 LICEO SERALE GANDHI (PIAZZA 25 APRILE): assemblea (+ corteo?) contro la chiusura dell’unica scuola pubblica serale di Milano.

GIOVEDI’ h 16 ACCADEMIA DI BRERA (VIA FORMENTINI 12): assemblea interfacoltà, di seguito l’appello:

L’ONDA ANOMALA NON SI FERMA:
Giovedì 18 – h.16.00 Assemblea interfacoltà

All’ Accademia delle Belle Arti di Brera giovedì 18 dicembre un appuntamento per rilanciare, con uno sguardo in avanti a partire da gennaio con la riapertura dei corsi, nuove mobilitazioni, per costruire l’università libera determinati a non fermarci fino al ritiro della 133, della 137 e della 180.

L’Onda Anomala non ha nessuna intenzione di fermarsi, e settimana prossima durante l’ iniziativa "Accademia LIbera" alla sede di Brera in S.Carpoforo alle 18.00 assemblea tra le facoltà e le accademie in mobilitazione permanente per discutere a partire dagli scorsi mesi di mobilitazione intensa e continua, le modalità di riapertura delle iniziative da gennaio in avanti: ragionare sull’ autoriforma delle università, a partire dai percorsi di autoformazione, tenendo aperta una forte critica alla didattica, con blocchi della didattica stessa per riappropriarci della formazione; discutere di come aprire una vertenza forte sul welfare attraverso pratiche di conflitto perchè non solo non pagheremo la crisi delle banche ma anzi rivendichiamo reddito; rilanciare i blocchi metropolitani sempre con quello sguardo alle mobilitazioni selvagge contro il CPE che a Parigi pochi anni fa hanno vinto, e alle battaglie che dall’Italia alla Grecia attraversano l’Europa, per fermare, a partire dal Processo di Bologna, la svendita e la privatizzazione delle università.

ABBIAMO COMINCIATO PER NON FERMARCI, CON ALEXIS NEL CUORE

Giovedì 18 dicembre h.16.00 Accademia di Brera – S.Carpoforo, Via Formentini 12

Accademia di Brera in Mobilitazione Permanente

VENERDI’ h 17.30 AD AGRARIA (VIA CELORIA 2): festa di fine anno alla Ciclofficina Ruota Libera, la rivoluzione è anche un pranzo di gala…               (DA CONFERMARE)

 

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