Rassegna stampa 10-11 dicembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 11 Dicembre 2008
Università, intoppo per la Gelmini il governo battuto alla Camera, la Repubblica
La sede di Fisica «occupata» per una notte, Corriere Milano
Scuola, maestro unico "facoltativo", Corriere della sera
Scuola, la riforma slitta al 2010 "Maestro unico solo su richiesta", la Repubblica
Poi, qualche articolo dal manifesto (meravigliosa l’ultima citazione, terribile).
UNIVERSITÀ
Governo battuto sul decreto Gelmini
Il decreto legge Gelmini sull’università inciampa
in commissione Esteri alla Camera: Pd e Idv hanno infatti votato contro
il parere della relatrice Michaela Biancofiore e, in concomitanza con
le numerose assenze nelle file della maggioranza, hanno battuto Lega e
Pdl mandando sotto il governo di un voto (5 contro, 4 a favore). Anche
il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi era presente alla
riunione e, racconta l’esponente del Pd Paolo Corsini, «ha espresso
preoccupazione per le risorse tagliate al suo ministero per trovare la
copertura al dl. Una posizione riportata anche dalla relatrice nel suo
parere finale». Pd e Idv hanno contestato non solo i tagli, ma anche i
meccanismi dei concorsi e anche le modalità indicate per il rientro di
cervelli dall’estero. «I concorsi con i sorteggi dei commissari
rischiano comunque di favorire i grandi atenei e il loro strapotere:
hanno numericamente più professori – spiega infatti Corsini – e per il
rientro dei cervelli tra i criteri c’è l’equipollenza della struttura
in cui questi lavorano tralasciando il fatto che all’estero si diventa
docenti anche senza concorso in alcuni casi e con modalità ben diverse
da quelle usate qui in Italia».
UNIVERSITÀ LA SAPIENZA
Un’Onda che si aggiunge a metalmeccanici, insegnanti, personale Alitalia
Assemblea a fisica: «Non pagheremo noi la vostra crisi». La precarietà tratto comune tra lavoratori e studenti
Francesco Piccioni
Unità delle lotte, va bene. Ma come? L’assemblea di
fisica, alla Sapienza di Roma, squaderna il problema mettendo a
confronto gli studenti dell’Onda e lavoratori di situazioni molto
diverse, accomunati dalla scadenza dello sciopero generale. Non è la
prima volta.L’onda ha attraversato i cortei del 17 e 30 ottobre
(sindacati di base e Pd) e del 14 novembre (sindacati della scuola).
E
se appaiono più vicine e «leggibili» le esperienze provenienti dal
mondo dell’istruzione, la curiosità diventa acuta quando al tavolo
arrivano mondi apparentemente agli antipodi come i metalmeccanici e il
personale di volo di Alitalia. Questi ultimi, «i privilegiati» – come
riassume ironicamene una hostess e madre – stanno facendo da cavie per
un esperimento che mira a ridisegnare i rapporti tra impresa e «risorse
umane». Racconta scene che stanno avvenendo in queste ore – lavoratori
di terra cui viene notificata la cigs direttamente in ufficio e che non
riescono ad uscire perché nel frattempo viene disattivato il badge;
personale di volo che riceve la comunicazione «via mail» mentre sono in
un altro continente e non riescono a sapere se e quale titolo (con
quale copertura assicurativa) potranno tornare in Italia. Descrive
un’azienda che considera i «carichi familiari» come un handicap. Da
eliminare in pianta organica. Una mutazione che va oltre la «riforma
del modello contrattuale» e travolge l’identità stessa di chi lavora.
Paolo
Maras, steward e coordinatore dell’Sdl, centra invece il tema di fondo
dello sciopero generale. Sgombrando il campo da personalismi e orgogli
di sigla («davanti a un modello che va avanti come un carro armato non
c’è più spazio per divisioni costruite in base alla ricerca della
posizione ‘più giusta’»), perché la lotta deve sapersi misurare sia con
«la prospettiva» che con la necessità di ogni lavoratore di aver
soluzioni vere «qui e ora». E si parla di 9.000 licenziamenti, di «un
disastro aereo». Che richiede, insieme a tutti i settori investiti
dalla crisi, «una risposta generale e collettiva» per iniziare a
«invertire la tendenza».
«Il metalmeccanico» ha il volto di una
ragazza sulla trentina, «il 20% degli operai è donna». Ma il cuore del
legame tra mondo del lavoro e studenti è «la precarietà». Non è una
condizione transitoria: «l’età media dei precari in fabbrica è 35
anni», con uno stipendio che non arriva ai 900 euro (non che gli
assunti a tempo indetermianto stiano molto meglio: salario medio 1.160
euro). Un legame riassunto alla perfezione dalla comune parola d’ordine
(«la vostra crisi non la paghiamo noi»), che «presenta una connotazione
di classe: chi siamo ‘noi’, chi sono i ‘voi’ che ce la scaricano
addosso». Basti pensare alla Commissione Ue che, martedì prossimo,
potrebbe approvare la direttiva che prolunga – tramite «contrattazione
individuale» col padrone! – l’orario di lavoro a 65 ore settimanali. E
questo «mentre si licenzia dappertutto» o, come in Italia, si
«detassano gli straordinari». Squarci inattesi arrivano da un
insegnante Cobas, che rivela lo smantellamento dell’istruzione in
carcere, «da formazione propriamente detta a puro apprendistato».
Un’idea beffarda, «se si hanno alunni con ‘fine pena mai’ o magari 10
anni ancora da fare». Si vede all’opera lo stesso meccanismo che
distrugge la sperimentazione del tempo pieno, iniziata quando il
centrosinistra la trasformò da «modello di scuola qualitativamente
superiore» a «diritto di scelta del cliente». Una logica «manageriale»
che ha abbattuto anche il welfare dei servizi alla persona,
«esternalizzato» a cooperative dove in media il 50% dei soci è
precario. Infine una buona notizia «unitaria»: gli studenti della
Sapienza, il coordinamento scuole «Non rubateci il futuro» e il
movimento insegnanti precari hanno stilato una piattaforma comune per
il 12.
DAL POLITECNICO
«Noi studenti non vogliamo fermarci»
Sabato 6 dicembre Alexandros Grigoropoulos, un
compagno 15enne, è stato ucciso a sangue freddo con un proiettile al
petto da un agente nella zona di Exarchia. Al contrario di quanto
dicono poliziotti e giornalisti, complici del delitto, questo non è
stato un «incidente isolato», ma un’esplosione dello Stato di
repressione che sistematicamente e in maniera organizzata colpisce
coloro che resistono, coloro che si ribellano, gli anarchici e gli
antiautoritari. Questo è il picco del terrorismo di Stato, espresso con
la dottrina della «tolleranza zero», con la viscida propaganda dei
media che criminalizza coloro che stanno lottando contro l’autorità.
La
violenza è parte del più ampio attacco di Stato e padroni contro
l’intera società, al fine di imporre più rigide condizioni di
sfruttamento e oppressione, per consolidare il controllo e la
repressione. Dalla scuola alle università, ai centinaia di lavoratori
morti nei cosiddetti «incidenti sul lavoro» e alla povertà che
abbraccia una larga fascia della popolazione, dai campi minati ai
confini, i pogrom e gli omicidi di migranti e rifugiati ai numerosi
«suicidi» nelle carceri e nelle stazioni di polizia, dagli «spari
accidentali» nei posti di blocco della polizia alla violenta
repressione delle resistenze locali, la Democrazia sta mostrando la sua
ferocia.
In un primo momento, dopo l’uccisione di Alexandros,
manifestazioni spontanee e riots sono esplosi nel centro di Atene, il
Politecnico e le Facoltà di Economia e Diritto sono state occupate e
attacchi contro i simboli dello Stato e del capitalismo hanno avuto
luogo in molti quartieri periferici e nel centro città. Manifestazioni,
attacchi e scontri ci sono state a Salonicco, Patrasso, Volos, Chania e
Heraklion (Creta), a Giannina, Komotini e in molte altre città. Ad
Atene, in Patission street – fuori dal Politecnico e dalla Facoltà di
Economia – gli scontri sono continuati tutta la notte. Fuori dal
Politecnico la polizia ha fatto uso di proiettili di plastica.
Sabato
7 dicembre, centinaia di persone hanno manifestato verso il quartier
generale della polizia ad Atene, attaccando la polizia. Scontri mai
visti si sono diffusi nelle strade del centro città, durati fino a
notte fonda. Molti manifestanti sono feriti ed alcuni sono stati
arrestati.
Noi continuiamo l’occupazione del Politecnico, cominciata
sabato notte, creando uno spazio per tutte le persone che lottano e un
altro presidio permanente della resistenza in città. Nelle barricate,
nelle occupazioni delle università, nelle manifestazioni e nelle
assemblee terremo viva la memoria di Alexandros, ma anche la memoria di
Michalis Kaltezas e di tutti i compagni uccisi dallo Stato, che hanno
dato forza alla lotta per un mondo senza padroni né schiavi, senza
polizia, armi, prigioni e confini. I proiettili degli assassini in
uniforme, l’arresto e le manganellate ai manifestanti, i gas chimici
lanciati dalle forze di polizia non solo non riusciranno a imporci
paura e silenzio, ma diverranno la ragione per sollevarci contro il
terrorismo di Stato, il grido della lotta per la libertà, per
abbandonare la paura e incontrarci – ogni giorno sempre di più – nelle
strade della rivolta.
(gli occupanti del Politecnico di Atene)
VUOTI DI MEMORIA
Grecia classica
Alberto Piccinini
«Più di 100 mila persone hanno manifestato oggi
davanti l’ambasciata degli Usa nel 12esimo anniversario della
repressione della protesta degli studenti del Politecnico nel 1973
durante il regime dei colonnelli. I dimostranti portavano bandiere
rosse e striscioni con slogan come "americani assassini dei popoli",
"Cee e Nato stessa gang", "Capitalismo uguale disoccupazione,
inflazione e austerità"». «La polizia ha ucciso un ragazzo di 15 anni
durante uno scontro avvenuto al termine della manifestazione, dopo la
mezzanotte. Secondo la versione delle forze dell’ordine, Mihailis
Kaltezas è stato ucciso dai colpi d’arma da fuoco sparati da un
funzionario di polizia contro un gruppo di persone che aveva lanciato
alcune bottiglie molotov contro un pullman carico di agenti". La notte
successiva "nuovi e talvolta violenti incidenti sono scoppiati nel
centro di Atene. Anarchici e autonomi, spostandosi in gruppetti, hanno
tentato di raggiungere l’edificio che ospita la direzione della
polizia. Fermati dalle forze dell’ordine, si sono dati allora a azioni
di saccheggio. In particolare hanno rotto a colpi di sbarre di ferro le
vetrine di alcune banche. Poi si sono ritirati nei locali del
Politecnico». (Ansa, 18/19 nov. 1985)
Iniziativa giovedì 11
Scritto da cittaztudi in Università il 9 Dicembre 2008
LA CITTA’ CHIUDE…
Milano, capitale economica d’Italia, milioni di persone che durante il giorno si spostano rapidamente e lavorano, producono e consumano.
Milano, capitale anche della paura, del senso di insicurezza, e quindi della diffidenza e dell’egoismo.
Milano capitale dell’ordine e del decoro, bella senz’anima, che non tollera artigiani abusivi agli oh bej oh bej (a costo di perdere il cuore della fiera), che recinta i luoghi pubblici e liberi di ritrovo per i giovani, che chiude gli spazi autogestiti di aggregazione e produzione di iniziative culturali e sociali.
Milano per noi studenti: nessun luogo per studiare la sera (salvo rare eccezioni), pochissimi posti di socializzazione dove non sia necessario spendere per passare il tempo, o dove potere organizzare iniziative.
In questo panorama, è desolante che abbiamo la possibilità di usufruire degli spazi universitari solo durante il giorno, e che dalle 8 in poi gli edifici si svuotino.
Intendiamo porre quello degli spazi per i giovani come problema a chi gestisce la città e l’università, intendiamo per ora cominciare a praticare l’apertura serale dell’università, per garantire un luogo di studio e come punto di aggregazione.
Abbiamo un’idea di università pubblica diversa da chi chiama “riforme” i tagli dei finanziamenti e “fannullone” chi protesta, approfitteremo dell’apertura serale per discuterne e approfondire le proposte concrete per l’università che vogliamo.
Questa è una lotta che possiamo vincere.
…L’UNIVERSITA’ APRE!
giovedì 11 dicembre dalle 17.00 alle 24 a Fisica (via Celoria 16)
autogestiamo gli spazi
Programma:
– h 17.00: Laboratori su autoriforma dell’università e strategia per far stralciare la 133
-
h 19.30: cena e assemblea (sciopero del giorno dopo, contenuti emersi nei laboratori)
– h 22.00 cineforum e musica
dalle 17 alle 24:
-
apertura di SALE STUDIO a disposizione di tutti
-
preparazione di striscioni e coreografie per il corteo… art attack!
-
Attività autogestite dagli studenti. Vuoi proporne una?
Scrivici: retazione@libero.it
– raccolta di coperte, sacchi a pelo, indumenti da distribuire poi ai senzatetto.
Dopo le 24: possibilità di fermarsi a dormire (portate il sacco a pelo!) per partecipare al corteo del giorno dopo, h 8.30 da piazza Leo ( 9.30 Cordusio).
Coord. di Città Studi – cittastudi.noblogs.org
Studenti del politecnico in mobilitazione – polimimob.blogspot.com
Rassegna stampa 6-9 dicembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 9 Dicembre 2008
UNIVERSITÀ
«Contro la crisi» Onda e Cgil verso il 12 dicembre
Roberto Ciccarelli
ROMA
Dalla crisi non si esce se non rilanciando
l’«economia della conoscenza» e promuovendo nuove forme di «Welfare
diffuso» che siano all’altezza delle trasformazioni del lavoro e
riconoscano i diritti sociali ad un’intera generazione. E’ questo il
risultato della tavola rotonda con Enrico Panini della segreteria
nazionale Cgil, il segretario generale della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo e
quello della Cgil-Lazio Claudio di Berardino promossa ieri alla
Sapienza di Roma dai ricercatori precari e dagli studenti dell’Onda per
spiegare le ragioni, e le prospettive, dello sciopero generale del
prossimo 12 dicembre.
Un confronto tra istanze che in passato «ha
avuto momenti difficili», hanno ammesso Panini e Pantaleo, ma che, alla
luce di «un rinnovamento della nostra organizzazione», potrebbe portare
alla luce insospettabili convergenze. Non sono certo mancati gli
accenni critici con i quali Francesco Raparelli, dottorando
all’università di Firenze ha invitato il sindacato «ad una riflessione
critica sulla stagione concertativa durante la quale ha legittimato una
politica del doppio binario tra chi vive nella cittadella del lavoro
garantito e chi vive nella giungla del lavoro precario ed atipico». «Il
sindacato avrà capito – ha aggiunto Giuseppe Allegri, docente a
contratto alla Sapienza – che la precarietà non è nata con questa
crisi. Non è solo quella dei 300 mila che finiscono il contratto a
dicembre. E’ un’intera generazione di padri, madri e figli ad essere
stata investita da un processo che nessuno ha voluto governare. Ci
vuole la continuità di reddito qui e ora. E’ questa l’unica base per
una riforma seria del Welfare».
Una critica che non ha lasciato
indifferenti i dirigenti sindacali i quali hanno riconosciuto
l’esistenza di una «frattura sociale» tra le generazioni entrate negli
ultimi tre lustri nel mercato del lavoro e quelle precedenti che hanno
usufruito dei benefici dello stato sociale del dopoguerra. «Il
sindacato – ha affermato Pantaleo – è stato inadeguato rispetto a
questo processo. Abbiamo subito serie sconfitte. Oggi si rende
necessario da parte nostra un salto culturale che superi la vecchia
impostazione familistica, lavoristica e non universale del Welfare
italiano». Ma per farlo, hanno incalzato dal movimento, «è
insufficiente pensare che l’orizzonte del lavoro a tempo indeterminato
o le stabilizzazioni servano a recuperare una normalità». Può essere la
soluzione per chi è già inserito in un percorso lavorativo specifico,
ed attende l’assunzione, ma non per chi da questo circuito di selezione
sociale è escluso e vive, suo malgrado, nella precarietà. L’invito
rivolto al sindacato da Giovanni Ricco, dottorando in fisica della
Sapienza, è quello di «pensare al superamento della distinzione tra chi
studia e chi fa ricerca, tra chi lavora e chi non lavora. Oggi c’è una
continuità tra queste condizioni che dovrebbe essere garantita a tutti
in maniera incondizionata. La prima cosa da fare è chiedere
l’abolizione di tutte le figure precarie nell’università e
l’introduzione di un contratto unico triennale per i non strutturati».
«È
tra le nostre proposte – ha risposto Panini – rispetto la vostra
battaglia per un reddito di cittadinanza. Penso che sia uno degli
elementi utili per ridisegnare un welfare all’altezza dei tempi». Il
segretario della Cgil ha riconosciuto all’Onda la volontà di non
opporre questa misura, del tutto assente in Italia, unico paese nell’Ue
insieme a Grecia e Ungheria, al compito tradizionale del sindacato,
quello della garanzia e della dignità del lavoro. Il punto è invece un
altro: queste nuove politiche dovranno essere l’anticamera di «uno
straordinario investimento sull’economia della conoscenza in questo
paese». Sembra essere questa la proposta generale che movimento e
sindacato potranno condividere per uscire dalla crisi. «L’idea che non
dobbiamo essere noi a pagare la crisi – ha concluso Panini – e che anzi
proponiamo un modello di società basata su una nuova idea di bene
comune e di valutazione sociale della ricerca dimostra che possiamo
fare insieme un cammino, pur nel rispetto delle nostre differenze».
APPUNTI DI SCUOLA
E ora torneranno anche i fondi tagliati all’istruzione pubblica?
Giuseppe Caliceti
Il governo aveva parlato di tagli alle scuole
cattoliche. È bastata la minaccia di una loro mobilitazione per fargli
cambiare idea nel giro di qualche ora. Niente sit-in. Niente
occupazioni. Niente lezioni all’aperto. Niente striscioni. Niente
scioperi. Niente coordinamenti docenti-genitori. È bastato che la
Chiesa si mostrasse risentita e il governo si è rimangiato le parole
dette ed è tornato prontamente sui suoi passi: i fondi per le scuole
paritarie sono stati immediatamente «ripristinati».
Allora ti fai
delle domande. E i soldi già tagliati dalla Gelmini per le scuole
pubbliche italiane, quelli saranno ripristinati? E quelli che il
governo è in procinto di tagliare ancora all’Università, saranno
ripristinati? Sì, insomma, quei soldi lì. Quelli per la scuola pubblica
italiana. Quelli per cui sono scesi in piazza in questi mesi migliaia
di studenti, genitori, docenti, gente comune – cattolica e non
cattolica. Anche i soldi tolti ai figli di questa gente saranno
ripristinati? Sì? No? E perché? Forse perché l’Onda anomala non è
abbastanza cattolica? O non è abbastanza italiana? O non è ancora
abbastanza privata?
Certo, le critiche al governo da parte della
Conferenza episcopale italiana sono state severe. Ma pare proprio che
qui si spossa parlare dei famosi due pesi e delle famose due misure.
Quasi che in Italia, oggi, ci fossero non solo due pesi, ma proprio due
Paesi. Due tipi diversi di alunni e di studenti. Monsignor Stenco aveva
detto: «Qui si vuole la scuola statale e la scuola commerciale, lo
stato e il mercato, ma non il privato sociale che rappresentiamo noi e
che fa la scuola non per interesse privato, ma per interessi pubblici».
Colpiva che Stenco parlasse di un «privato sociale» e di una scuola
pubblica italiana che avrebbe un «interesse privato» e non «pubblico»;
come se il vero «interesse pubblico» fosse esclusiva e prerogativa
unica delle scuole cattoliche. A ogni modo, proseguendo, Stenco aveva
aggiunto parole che potrebbero essere anche condivisibili: «Non è il
taglio da 130 milioni di euro di adesso che fa scoppiare la scuola
cattolica. Il punto è che sono dieci anni che il finanziamento si è
inceppato. Può una scuola parrocchiale, ad esempio, permettersi ogni
anno una passività di 20,25 mila euro? Il contributo dello Stato serve
a malapena a pagare gli stipendi».
Sante parole, viene da dire. Il
mestiere di Stenco è difendere le scuole parrocchiali e lo fa
egregiamente. Quello che colpisce è questo: il suo grido per difendere
le scuole private cattoliche è lo stesso dei tanti genitori e docenti
che in questi mesi difendono la scuola pubblica. Motivazioni comprese.
I fondi che ora lo Stato impiega nella scuola pubblica non servono
infatti solo a pagare a malapena gli stipendi dei docenti? Ma in questo
caso il governo non torna ancora sui suoi passi. Anzi, la Gelmini si
lamenta proprio di questo: per raschiare il fondo del barile parla del
taglio di 250.000 docenti in tre anni. Motivazione? Rappresentano il
97% dei fondi a sua disposizione. E non lo fa chiedendo più fondi.
Nonostante l’edilizia scolastica in questo Paese sia messa non proprio
bene. Non solo. Niente fondi destinati alla formazione,
all’aggiornamento dei docenti, alla ricerca. Questa è la situazione
degli ultimi dieci anni della scuola pubblica italiana, caro Stenco. Ma
allora, il criterio del taglio indiscriminato sulla pelle dei più
piccoli, dei più giovani, del futuro del nostro Paese, secondo lei, non
è ammissibile per la scuola privata cattolica ma magari lo è per la
scuola pubblica italiana? Per i figli di chi frequenta la scuola
pubblica italiana? Ci sono due pesi e due misure? Ci sono due Paesi?
Non credo.
«Gli aiuti per l’educazione religiosa dei figli», ha
detto Benedetto XVI, «sono un diritto inalienabile». Giusto. Chiediamo
allora a lui e a questo governo: e quelli per il resto dell’educazione?
Cioè per tutto quello che non è educazione religiosa? E l’aiuto per il
resto dei figli? Quelli che magari non si dichiarano cattolici? O che
si dichiarano cattolici ma comunque non frequentano una scuola privata
cattolica ma semplicemente la scuola pubblica italiana? Aiutare anche
questi figli è un diritto alienabile? Di fronte ai figli – i figli di
tutti – esistono forse diritti inalienabili e diritti alienabili?
NO GELMINI
Ma il 12 è stop anche a scuola
Il 12 dicembre si ferma anche la scuola: la
giornata segue allo stop del 30 ottobre, che ha portato in piazza a
Roma centinaia di migliaia di persone. Questa volta il blocco delle
attività didattiche è stato proclamato solo dalla Cgil – senza Cisl e
Uil – mentre un’iniziativa parallela, sempre per il 12, è messa in
campo dai Cobas. Scioperi che si inseriscono nel contesto generale
della protesta contro il governo per le iniziative anti-crisi, ma nelle
scuole è ancora vivo il dibattito contro la riforma Gelmini: tanto che
allo sciopero della Cgil hanno aderito anche i Comitati insegnanti
precari (Cip) e le organizzazioni degli studenti. A spiegare le ragioni
dello sciopero è stato il segretario generale della Flc Cgil, Mimmo
Pantaleo, secondo il quale nel settore dell’istruzione serve «una
svolta radicale», non aggiustamenti a interventi già varati. Piero
Bernocchi, portavoce dei Cobas, ha detto che la protesta è anche contro
«i tagli e la privatizzazione di scuola e università e per chiedere la
cancellazione della legge 133 e della 169, l’ex decreto Gelmini». La
Flc Cgil ha anche avanzato una «proposta alternativa» ai provvedimenti
del governo per la scuola: chiede che si sospenda l’attuazione dei
provvedimenti approvati e si ritirino quelli in itinere; nessun euro
risparmiato deve uscire dal comparto dell’istruzione; il governo deve
predisporre un piano straordinario, pluriennale, con risorse certe, per
la bonifica degli edifici scolastici; il personale precario va
stabilizzato e va ripensato l’orario di lavoro dei docenti; va
salvaguardato il tempo pieno, ridotta la didattica frontale, potenziati
i laboratori, favorita la valutazione; l’obbligo a 16 anni (con
l’obiettivo dei 18) deve essere assolto nel solo sistema di istruzione.
Rassegna stampa 5 dicembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 6 Dicembre 2008
Dopo i tanti rinvii parte finalmente il bike sharing, ma le piste ciclabili sono ancora un miraggio
Vogliamo le bici anche in Città Studi!
Invece, dal manifesto di oggi:
L’ONDA MEDIATICA Intervista al sociologo Adam Arvidsson: «Internet fondamentale per la comunicazione tra gli studenti»
«Il web per il movimento come i tazebao per il maggio francese»
Alessandro Delfanti
Come si fa a disgiungere l’Onda, e più in
generale i movimenti sociali degli anni 2000, dall’uso del web? Sarebbe
come pensare al maggio francese senza i manifesti serigrafati o le
scritte sui muri. Da Indymedia ai blog degli studenti in mobilitazione,
siamo ormai abituati a leggere e produrre notizie e punti di vista, e a
discutere con gli altri su Internet. Nel corso degli ultimi anni
articoli, libri, ricerche sul ruolo della rete nei nuovi movimenti si
sono sprecati. Ma sono i media a determinare i movimenti? Che ruolo
hanno quindi i blog, Facebook, YouTube e gli altri media collaborativi,
cioè quelli che chiunque può produrre gratuitamente dal computer di
casa? Lo abbiamo chiesto ad Adam Arvidsson, un sociologo che da
Copenhagen è arrivato da poco alla Statale di Milano. Arvidsson si
occupa di media digitali e comunicazione ma anche del ruolo dei brand
nella cultura dei consumi.
La protesta corre sulla rete?
I
media che troviamo sul web non sono altro che i media che sono entrati
nella pratica quotidiana della nostra generazione, quindi usare
Facebook non è diverso che usare il telefono: il tempo del feticismo
della rete è passato. Non penso che l’uso di Internet cambi le
dinamiche della protesta. Ovviamente è utile per mobilitare e
diffondere informazioni in modo più efficiente del classico
volantinaggio, ma non causa cambiamenti radicali.
Ci sono anche tentativi di creare brand della protesta. Cosa ne pensi?
C’è
l’esempio di Anna Adamolo (anagramma di Onda anomala, la «ministra
onda» inventata per diffondersi virilmente nella rete:
http://annaadamolo.noblogs.org, ndr), un tentativo di brandizzazione
che non ha avuto grosso successo probabilmente perché l’Onda era già
partita e aveva già attirato l’attenzione dei mass media. San Precario
o Serpica Naro erano tentativi di produrre un brand politico, cioè
creare una comunità di interpretazione prima, che poi poteva creare un
movimento diffuso nella società. Non è facile definire cosa sia un
brand ma forse potremmo dire che è il tentativo di costruire un
movimento virtuale che anticipa un movimento reale. Il brand funziona
quando c’è la necessità di generare una comunità politica, per esempio
un gruppo di lavoratori precari dentro le industrie creative che non ha
un’identità collettiva precostituita. In quel caso il marchio la
costruisce a livello culturale, dopodiché i lavoratori possono
riempirlo di contenuti pratici. Nel caso dell’Onda invece si parte da
un’esperienza vissuta che si fa movimento e si dà un nome.
Il web è strumento dei movimenti sociali o può crearli?
Gli
strumenti della rete sono un media che può essere usato per creare
forme di socialità determinate dagli utenti. Vari media possono dare
luogo a forme di socialità diverse: Facebook crea non solo una rete ma
una rete fatta da conoscenze dormienti che possono essere attivate in
certi momenti. Il media però contribuisce a determinare la socialità
creata comunque dagli utenti. Probabilmente nelle proteste dell’Onda
sono stati molto più importanti i cellulari, che pero vengono visti
come un media vecchio. Eppure diverse ricerche hanno studiato il loro
ruolo, per esempio l’uso degli sms per dirigere manifestazioni. Se ci
pensate, le manifestazioni dell’Onda non sono molto diverse da quelle
del ’77 o del ’68. Le tecniche usate dal movimento sono le stesse, e
questo vuol dire che probabilmente l’infrastruttura mediatica ha avuto
un’influenza molto piccola. Non lo dico per criticare l’Onda, ma solo
per sottolineare che non bisognerebbe rivolgere tutta l’attenzione solo
sul livello mediatico, che forse non è la caratteristica principale di
questo movimento. (www.totem.to)
Rassegna stampa 4 dicembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 5 Dicembre 2008
Dal manifesto di oggi.
UNIVERSITÀ
«La ricerca contro la crisi»
La Cgil presenta la sua riforma. In vista dello sciopero generale del 12
Le proposte alternative: fondi all’edilizia, ricambio generazionale
Eleonora Martini
ROMA
La formazione come tema centrale dello sciopero
generale indetto da Cgil, Cobas, Cub e Sdl intercategoriale, per il
prossimo 12 dicembre. Perché «è del tutto evidente la relazione tra la
necessità di investire sui sistemi della conoscenza e i modi con cui si
può uscire dalla crisi economica e sociale». Mimmo Pantaleo, segretario
generale della Flc-Cgil, introduce così la grande convention ospitata
ieri nell’aula magna della facoltà di Lettere dell’università Roma Tre
e organizzata dal suo sindacato per presentare alcune proposte concrete
alternative ai tanto contestati provvedimenti governativi su scuola,
università, ricerca e Afam (Alta formazione artistica e musicale). Un
programma di lavoro che prevede «una svolta radicale e non
aggiustamenti a interventi già varati», e che accoglie le istanze
rivendicate nelle piazze dal movimento degli studenti, dei maestri e
dei docenti – prime tra tutte, le grandi manifestazioni della scuola
del 30 ottobre e degli universitari del 14 novembre – ma che è comunque
«una base di partenza da cui aprire una grande campagna di ascolto».
Dialogo, dunque, a trecentosessanta gradi. Ma, come dice a conclusione
dei lavori Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil, «se restano 8
miliardi di tagli, di cosa si vuole dialogare?». Perciò, prima di tutto
l’Flc chiede che venga «sospesa l’attuazione dei provvedimenti
approvati e si ritirino quelli in via di approvazione». Fare carta
straccia dunque della legge 133/08, del decreto 112, meglio conosciuto
come l’"ammazza precari" di Brunetta, e la legge Gelmini sulla scuola.
Da qui in poi si può cominciare a ragionare, sempre che siano tenuti
ben fermi alcuni capisaldi. Pantaleo li riassume così: ogni euro
risparmiato dislocando meglio le risorse va reinvestito
nell’istruzione; occorre un piano straordinario pluriennale che stanzi
fondi certi sull’edilizia scolastica; bisogna puntare ad un «serio
ricambio generazionale di tutto il corpo docente e non solo nella
prospettiva di stabilizzazione dei precari, ma con l’ampliamento
massimo del turnover». In particolare, per la scuola, «l’idea del
maestro unico è inaccettabile». Anzi, la programmazione didattica
necessita di un «profondo e strutturale cambiamento» che ricollochi
l’istituzione a contatto con la realtà sociale, liberandola da
«nozionismo e burocrazia». Perciò va «salvaguardato il tempo pieno,
ridotta la didattica frontale, potenziati i laboratori e favorita la
valutazione». E come obiettivo da perseguire, l’obbligo scolastico a 18
anni: «Quello fino a 16 anni sia privato degli equivoci che ancora gli
gravano addosso con la riconferma del canale di serie B della
formazione professionale».
Per il sistema universitario invece al
primo punto c’è la salvaguardia della sua natura pubblica, lasciando al
privato «un ruolo di utile integrazione, uno stimolo e una risorsa».
L’abolizione graduale del numero chiuso garantisce il diritto allo
studio universale. Per spalancare poi le porte ai giovani docenti,
servono nuove regole per il reclutamento: un contratto triennale
retribuito, con garanzie sul rapporto di lavoro, al termine del quale
una «valutazione seria della qualità e della produzione scientifica del
candidato dà luogo all’accesso al ruolo di ricercatore». I finti
concorsi per i passaggi di fascia vanno eliminati. Mentre l’Agenzia
nazionale di valutazione voluta dall’ex ministro Fabio Mussi e mai
avviata, giudicherà la qualità degli atenei per una distribuzione
«giusta» dei fondi. «Perché crediamo – sottolinea Pantaleo – che la
meritocrazia sia effettivamente l’unico riferimento». Ma «un ruolo
forte nella definizione del merito e degli obiettivi deve essere
restituito agli studenti, a chi l’università la vive». Infine, la
ricerca, il cui «Programma nazionale deve diventare uno strumento
essenziale per la definizione del Dpef con l’obiettivo di superare la
frammentazione degli interventi e coordinare le politiche per la
ricerca scientifica e tecnologica, anche per sostenere i progetti
d’innovazione industriale». Vanno istituiti inoltre «uno o più fondi
specifici, distinti da quelli ordinari e alimentati da risorse
aggiuntive».
Con queste proposte, insomma, l’Flc-Cgil risponde a
chi l’accusa di essere il sindacato del no. Alle altre sigle tende
ancora una mano, ponendo sul tavolo tre questioni aperte: contratti,
regolamenti attuativi della legge Gelmini sulla scuola, e riforma di
università e ricerca. «Se riusciamo a trovare una sintesi su questi
punti, bene. Altrimenti – conclude Pantaleo – andremo ai tavoli con le
nostre opinioni e soprattutto proseguiremo il nostro percorso di lotta».
Sciopero generale 12 dicembre
Scritto da cittaztudi in Università il 3 Dicembre 2008
SCIOPERO GENERALE METROPOLITANO
Mesi di mobilitazioni studentesche hanno portato una grande attenzione ai problemi delle università, ma poco è cambiato. Invitiamo pertanto a generalizzare lo sciopero con una giornata di blocco metropolitano totale che spinga il governo ad accogliere le nostre richieste. Inoltre il 12 dicembre è per Milano una data particolare: non dimentichiamo la strage di piazza Fontana, ordita da servizi segreti e gruppi neofascisti nel 1969 con il fine di spaventare e bloccare i movimenti sociali, dando inizio alla strategia del terrore.
In particolare chiediamo:
_l’abrogazione degli articoli 16 e 66 della legge 133 riguardanti i tagli al FFO, il blocco di fatto del turn-over per quanto riguarda personale tecnico e docente e la possibilità di privatizzare gli atenei.
Il governo ha risposto all’onda con la legge 180 che non risolve di fatto nessun problema, ma anzi inserisce criteri di efficienza concorrenziale nella distribuzione dell’FFO. Qualunque riforma deve partire da un aumento dei fondi e non da una loro riduzione. E’ grave il fatto che in Italia l’Università sia finanziata con solo lo 0,7% del PIL contro un’indicazione europea del 3%.
_più soldi per il diritto allo studio, in particolare per il sostegno alle fasce con reddito basso: chiediamo alloggi alla portata di tutti, borse di studio più significative e l’istituzione di un reddito sociale garantito.
Si devono assicurare strutture e servizi funzionali per tutti, non vogliamo numeri chiusi motivati solo dall’inadeguatezza dei finanziamenti.
Vogliamo una didattica di qualità garantita a tutti, adeguatamente valutata, non la frammentazione dei corsi e la proliferazione (per interessi localistici) di sedi universitarie inutili e dequalificate.
_il diritto a una ricerca pubblica libera e di qualità, esente dal ricatto dei finanziamenti privati e della precarietà dei contratti. Vogliamo una gestione più trasparente e partecipativa dei fondi e delle carriere accademiche. Chiediamo l’istituzione di un contratto unico di lavoro non precario adeguatamente retribuito che preveda il rispetto dei diritti dei lavoratori, e la destinazione di un reddito sociale minimo a dottorandi, diversamente strutturati, precari… Opponiamo alla commercializzazione dei risultati della ricerca la libera circolazione e la dimensione pubblica dei saperi.
_un impiego del denaro pubblico volto a evitare che siano le fasce deboli a pagare la crisi, attraverso un’inversione di tendenza rispetto alle politiche di privatizzazione e dismissione dei servizi fondamentali come acqua, istruzione, mobilità, che devono invece essere garantiti.
VENERDI’ 12 DICEMBRE
GENERALIZZIAMO LO SCIOPERO
concentramento di cittastudi h 8.30 piazza Leo
per raggiungere in corteo il concentramento universitario h 9.00 cordusio
studenti del politecnico in mobilitazione – polimimob.blogspot.com
coord. di cittastudi – cittastudi.noblogs.org
SE NON CAMBIERA’ BLOCCHEREMO LA CITTA’
Rassegna stampa 26-29 novembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 2 Dicembre 2008
Nel consueto pdf la rassegna stampa dal manifesto, che ha pubblicato alcuni articoli di riflessione sull’università con alcune notizie dal "modello americano", in crisi. C’è anche una breve intervista a Decleva.
Inoltre, segnalati nella lista del coordinamento da pigri intasatori di caselle (:-p):
Morire di ricerca
La ricerca calpestata
meritocrazia
Scritto da cittaztudi in EDITORIALI & DIBATTITI il 27 Novembre 2008
si fa un gran parlare di meritocrazia per quanto riguarda la direzione da prendere per riformare l’università.
nessuno mette in dubbio che su questo dovrebbe basarsi la selezione e la progressione dei docenti (facciamo lavorare chi è capace), ma un’altra cosa è richiederla per quanto riguarda una limitazione dell’accesso degli studenti al sistema formativo. copincollo una mail che avevo mandato tempo fa sul tema, sottolineo comunque come inevitabilmente università di massa e meritocratica (in questa accezione) non vanno di pari passo, quindi chi ci tiene vada dai suoi compagni di corso con medie basse e li inviti a disiscriversi perchè la loro presenza è causa di un abbassamento della qualità della didattica, oppure cominciamo a parlare di autodisiscrizioni (sì sono un po’ polemico).
ciao
michele
segue testo della mail:
noi sbagliamo a voler puntare sulla meritocrazia. perchè è una cosa che in sè
non vuol dire niente finchè non si specifica cos’è il merito, e poi parla di
potere (radice -kratos greca) che è una cosa con cui dobbiamo stare molto
attenti a confrontarci.
credo che quello di cui dovremmo portare avanti, imprescindibile, sia il
DIRITTO ALLO STUDIO, DI QUALITA’ E PER TUTTI. è un concetto più ampio, porta
con sè la meritocrazia (e diciamolo pure, ma spieghiamo che è conseguenza di un
altro principio) perchè nel momento in cui vuoi che la didattica sia di qualità
richiedi che il docente sia bravo e preparato; inoltre, evita quello che
secondo me è una cazzata colossale: cioè, tagliare agli atenei che funzionano
male. questa oggi viene intesa come una misura meritocratica, ma come si può
pensare che un ateneo che funziona male funzioni meglio riducendogli i fondi?
diritto allo studio è invece chiuderli (= bloccare una didattica di scarsa
qualità) e permettere a tutti (= abbattere i costi) di frequentare atenei
migliori dislocati lontano da casa. per fare un esempio.
accanto al diritto allo studio vi è il DIRITTO ALLA RICERCA LIBERA, cioè
niente imprese (=rimanere nel pubblico), niente caste baronali che decidono chi
e cosa, niente imbecilli stipendiati per fare un cazzo che rubano il posto a
gente brava e appassionata. su questo ritorna il discorso merito, ma solo se lo
uniamo al discorso sprechi: non potendo assumere tutti (=spreco) assumiamo solo
quelli bravi. peraltro il discorso sprechia priori non dovrebbe interessarci,
lo fa solo nell’ottica di aprirci al paese e dire: “non è giusto che la società
paghi anche per cose che non funzionano”, ma questo è già un allargare la
protesta alla presa di una coscienza sociale che poi secondo me non può
limitarsi a questo. spero di essere stato comprensibile. era giusto per fare un
po’ di ordine sul senso (secondo me) di quello che facciamo.
per questo partire lancia in resta da “meritocrazia” non mi piace, partiamo da
diritto allo studio e di ricerca e da lì traiamo le dovute conclusioni (se
saranno quelle, per ora sì direi). voi che ne dite?
Rassegna stampa 25 novembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 25 Novembre 2008
Dal manifesto di oggi.
RICREAZIONE La tragedia di Rivoli fa scoprire
alla politica l’esistenza delle scuole. Intese come edifici, aule,
laboratori e palestre. Spesso fatiscenti, spesso a rischio crolli.
Vittime dei tagli. Domani i funerali di Vito, il giovane morto nel
liceo per il crollo di una tubatura. E venerdì, in suo nome, studenti
medi in piazza
«Gelmini ha tagliato anche sull’edilizia»
Il Pd: il governo ha dimezzato le risorse per la sicurezza scolastica. Meno soldi in finanziaria e nel decreto
Stefano Milani
Sulla «tragica fatalità» – così domenica il
presidente del consiglio Berlusconi commentava la morte del
diciassettenne in seguito al crollo del tetto del liceo Darwin di
Rivoli – il mondo politico s’interroga. Come fa ogni volta,
all’indomani di una nuova tragedia. L’iter è noto. Prima il cordoglio
per la notizia, poi l’indignazione nel leggere dati di cui tutti
conoscevano l’esistenza, ma che solo il giorno dopo provocano sgomento:
una scuola italiana su due è a rischio. Addirittura «31.500 scuole, il
75% del totale, non è sicuro e necessità di interventi urgenti»,
denuncia Carlo Rienzi, presidente del Codacons.
E’ andata più o meno
così anche il 31 ottobre 2002, quando una scuola elementare di San
Giuliano si accartocciò su se stessa dopo una scossa di terremoto
provocando la morte di 27 bambini e di una insegnante. Cordoglio e
indignazione anche allora. A cui seguirono una sfilza di interrogativi
e la caccia al colpevole. Sono passati sei anni e nulla sembra
cambiato, il rischio di andare a scuola e non uscirne vivi rimane. Come
rimane il teatrino della politica, fatto di accuse reciproche e di
rimbalzi di responsabilità ogni qual volta una vita umana viene
spezzata in un modo così assurdo.
Ad insorgere, com’è normale nel
gioco delle parti, è l’opposizione. Il Pd se la prende con i tagli, «23
milioni di euro in meno in Finanziaria sui 100 disponibili nel fondo
statale destinato al patto per l’edilizia scolastica», accusa
Mariangela Bastico che dice di aver lanciato l’allarme già un mese fa.
«La mia denuncia partiva dal fatto che il decreto Gelmini sul maestro
unico dimezza le risorse per la sicurezza antisismica negli edifici
scolastici». Meglio il governo Prodi per la senatrice veltroniana, il
Professore «aveva destinato a questo scopo oltre 295 milioni di euro,
corrispondenti al 10 per cento degli investimenti globali in
infrastrutture. Con il decreto Gelmini si riducono al 5 per cento,
benché il governo (che riferirà oggi alla Camera, ndr) voglia far
credere che c’è stato incremento di risorse».
Anche Di Pietro punta
l’indice contro la maggioranza, soprattutto per come ha liquidato la
morte del giovane studente. «Non si può liquidare una tragedia come
quella avvenuta sabato presso la scuola di Rivoli come una fatalità.
Non sono d’accordo con il presidente del consiglio: c’è una chiara
responsabilità politica che non può essere occultata». Per il leader
dell’Italia dei Valori «le lacrime del giorno dopo del ministro Gelmini
sono inutili».
Dal canto suo, il ministro dell’Istruzione ripone il
fazzoletto e va avanti per la sua strada. Lei ha la coscienza a posto:
«Dal momento in cui mi sono insediata ed alla mia audizione alle
camere, – dice – ho messo in evidenza il problema dell’edilizia
scolastica». Bene brava, ma oltre a metterlo in evidenza, sarebbe cosa
buona e giusta per un ministro anche agire di conseguenza. La sicurezza
delle scuole italiane, per la Gelmini «è un compito del governo, così
come degli Enti locali e non è un caso che abbia chiesto al ministro
degli Affari regionali, Raffaele Fitto, di convocare al più presto la
conferenza unificata con regioni, province e comuni perché è uno sforzo
nazionale, è un impegno che ci deve vedere tutti in prima linea,
proprio per avere il prima possibile l’aggiornamento dell’edilizia per
intervenire là dove è necessario».
Ci vorrà dunque ancora del tempo.
Ma soprattutto servono più soldi. «Quelli che ci sono non sono
sufficienti», mette le mani avanti la Gelmini. «Ma come, – gli risponde
il capo della Protezione civile Guido Bertolaso – per la sicurezza
delle scuole il governo Berlusconi aveva stanziato 500 milioni nel
2003, dopo la tragedia di San Giuliano. Ebbene, devono ancora
spenderli». Aspettando che la politica finisca la fase della caccia al
colpevole e si renda operativa, è la regione Piemonte a muoversi. E’ di
ieri la notizia che il governatore Mercedes Bresso farà realizzare un
check-up di tutti gli edifici scolastici per verificarne le condizioni
profonde, in modo da evidenziare l’eventuale esistenza di rischi non
individuabili con i normali controlli strutturali. Meglio tardi che mai.
L’ULTIMO SALUTO A VITO
L’appello lanciato dalla mamma di Vito, il
17enne morto a seguito del crollo della controsoffittatura dell’aula in
cui si trovava, è stato raccolto. La salma del giovane sarà portata a
casa. Il trasferimento dall’ospedale di Rivoli, dove ieri è stata
eseguita l’autopsia, a Pianezza è stato autorizzato dal sindaco di
Rivoli, Guido Tallone, dopo il nulla osta della procura e dell’Asl
competente. «Abbiamo lavorato – spiega Tallone – in collaborazione con
tutte le istituzioni, Prefettura, carabinieri, Asl e anagrafe per
realizzare il massimo della legalità e per dare a questa legalità la
direzione della solidarietà» Intanto, l’avvocato Renato Ambrosio,
legale della famiglia precisa che la mamma del giovane «non si è mai
espressa su richieste di denaro, ma semplicemente ha chiesto
l’individuazione di diritti violati e, quindi, di giustizia».
L’inchiesta che deve accertare chi doveva o comunque poteva fare
qualcosa per lanciare l’allarme sulla situazione edilizia della scuola
Darwin è ancora agli inizi. Entro questa mattina, i vigili del fuoco
del Comando provinciale di Torino consegneranno al procuratore aggiunto
Raffaele Guariniello il rapporto sull’incidente che sabato scorso ha
causato, al liceo scientifico Darwin di Rivoli (Torino), la morte dello
studente Vito Scafidi. Nel frattempo ieri i consulenti della Procura
hanno iniziato a fare i primi «accertamenti irripetibili» sulla
controsoffittatura crollata. Pare essere confermata l’ipotesi che a
causare la caduta sia stato il tubo di ghisa che era rimasto
all’interno. Tutto potrebbe essere cominciato con la porta della
classe, sbattuta violentemente a causa di un colpo d’aria. Il tubo di
ghisa si sarebbe staccato, o forse sfilato dai ganci che lo
trattenevano. La procura dovrà poi cercare di capire perché quel tubo
era rimasto all’interno del controsoffitto, come erano stati eseguiti i
lavori, se era stata verificato il carico della controsoffittatura e se
ci siano responsabilità sul fronte della vigilanza di quella struttura.
MILANO
L’Onda contesta Bondi e La Russa
Gli studenti dell’accademia di Brera hanno
contestato ieri i ministri in visita per la firma del patto «Per la
nuova Brera», un protocollo d’intervento sul patrimonio artistico e
culturale per Milano. Il ministro della cultura Bondi, il ministro
della difesa La Russa e il sindaco della città Moratti sono stati
accolti dallo striscione «Ma quale grande Brera! Accademia libera!
Bondi, Moratti e La Russa fuori da Brera». Durante l’incontro è stato
impedito l’ingresso agli studenti, che volevano consegnare una lettera
con le loro richieste. Un centinaio di persone hanno allora bloccato
l’ingresso dell’accademia contestando i tagli della legge 133 e
gridando «I soldi per la scuola li devono trovare tagliando la spesa
militare». I ministri e il sindaco sono stati costretti ad uscire da
un’ingresso secondario della struttura, mentre i celerini bloccavano i
ragazzi seduti a terra. «Ci hanno fermato con qualche spinta – hanno
dichiarato gli studenti – L’ingresso in Accademia di una ventina di
poliziotti in assesso antisommossa è un fatto gravissimo. Non vogliamo
la polizia nelle scuole e nelle università».
Premetto che non ho partecipato all’assemblea del ventisei per motivi di salute e dunque mi mancano gli ultimi aggiornamenti dal movimento.
Vorrei sapere cosa ne pensa il Movimento (cioè noi) di come sta agendo. Nel senso…
Siamo soddisfatti di come si sta evolvendo la cosa?
Ci piace vedere quanti pezzi stiamo perdendo in giro?
Siamo rassicurati dal fatto che la situazione non è migliorata per niente in questo mese e mezzo ma perdiamo consensi inesorabilmente?
Perdonatemi la retorica…ma credo che le risposte siano abbastanza ovvie…
A questo punto non è che a qualcuno potrebbe venire in mente che potremmo smetterla di muoverci senza una direzione con una fretta folle ma fermarci per un momento, sederci attorno a qualcosa e discutere sul serio su come riempire di contenuti questo movimento?
Io davvero ne ho piene le palle di fare assemblee in cui si tirano fuori mille mila cose (sempre le stesse) ma poi non si scava, non si approfondisce nulla. Le uniche cose su cui si discute alle assemblee è di cosa organizzare per “farci vedere” (parole chiave) e di quando fare le assemblee successive…sono molto scettico sul fatto che un movimento possa durare senza delle idee alla base…
Anche la questione dell’occupazione la vedo un po’ così, che senso ha metterci a fare atti di forza senza sapere cosa vogliamo ottenere con questi? Non siamo più al liceo…non abbiamo tempo per metterci giocare ai sessantottini…
Noi dobbiamo combattere per un’università nuova, non per tornare all’università post sessantotto!
buonanotte
guglielmo