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Biblioteca della Statale aperta fino a sera per iniziativa degli studenti
Scritto da cittaztudi in Materiali, Università il 21 Gennaio 2009
Il gruppo “Biblioteche ed aule studio” della Statale di Festa del perdono ha finalmente prodotto la prima versione dell’annunciato Dossier, che potete scaricare qui: Dossier biblioteche e luoghi di studio (Statale).pdf.
Ieri, 20 gennaio, il gruppo ha annunciato che gli studenti avrebbero tenuto la biblioteca centrale della Statale in via Festa del perdono aperta fino a tarda sera, oltre l’orario di chiusura normale, rifiutandosi di uscire; ha così ottenuto un prolungamento straordinario dell’orario di apertura fino alle 22.30; 40 studenti ne hanno approfittato e sono rimasti a studiare fino alla chiusura.
L’iniziativa sembra essere stata apprezzata anche dagli organi di governo dell’università e in particolare dal rettore, da cui si aspettano però risposte concrete e non solo generiche promesse.
Nel frattempo il gruppo di lavoro continua la raccolta dati sullo stato elle biblioteche e aule studio di Milano. Il gruppo può essere contattato all’indirizzo biblio_lastatale chiocciola inventati punto org.
Rassegna stampa 8-10 gennaio 2009
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 19 Gennaio 2009
Tre articoli dal manifesto dell’8, 10 e 9 gennaio.
GLI STUDENTI
L’Onda suona la carica: «Non molliamo ora»
Protesta davanti Montecitorio
Stefano Milani
ROMA
C’è
fiducia e fiducia. C’è la nona che il governo ha posto ieri per
blindare il decreto Gelmini sull’università, e c’è quella dei ragazzi
dell’Onda convinti, nonostante tutto, che la battaglia non sia ancora
finita. «Siamo appena all’inizio, presto ricominceremo a surfare»,
assicurano. Non inganni, infatti, questo periodo di stasi. Con il
Natale, le feste e il rientro dalle vacanze. Il fatto è che ci avevano
abituato bene, specie dopo la "piena" di novembre con occupazioni,
autogestioni, lezioni all’aperto e assemblee che spuntavano di giorno
in giorno in ogni ateneo dello Stivale. Per manifestare tutto il loro
dissenso contro la legge 133, e più in generale contro l’intera riforma
dell’Istruzione, culminato nell’ultimo grande appuntamento dello
sciopero generale lo scorso 12 dicembre.
Ora si volta pagina. «Siamo
alla fase due», dicono i futuri dottori. Più equilibrata, più
razionale, meno rumorosa forse, ma non per questo meno efficace. Perché
ci sono i momenti dell’inondazione e i momenti della quiete. Che ha
però tutta l’aria di preannunciare presto una nuova tempesta.
L’assaggio ieri, in un sit-in organizzato davanti a Montecitorio.
Dentro, tra gli scranni della Camera, si svolgeva l’ennesima farsa
della democrazia ai tempi di Berlusconi. Fuori i ragazzi, imbavagliati,
a srotolare lo striscione «Criminale è chi distrugge l’università» e
contestare un decreto, votato in fretta e furia, che al suo interno ha
una serie di misure ritenute «inaccettabili». Basti pensare al blocco
del turn over, della possibilità di trasformazione degli atenei in
fondazioni private, dei finanziamenti differenziati in favore degli
atenei virtuosi, dello smantellamento della ricerca già precaria e
sottofinanziata. «Tutto già previsto, tutto a danno della qualità
dell´università», lamentano gli studenti secondo i quali «è chiara la
volontà di far pagare all’università, e al pubblico in generale, la
crisi finanziaria, così all’insegna di un ipocrita discorso sugli
sprechi e la meritocrazia passa la devastazione dell’università e della
ricerca pubblica».
A non andar proprio giù è anche il fatto che
questa votazione, rinviata più volte negli scorsi mesi, avviene in un
periodo "morto", in cui le università sono deserte, e a pochi giorni
dalla polemica «tutta strumentale e provocatoria» costruita dal rettore
della Sapienza Frati e dal sindaco Alemanno, «abituato evidentemente ad
una democrazia in cui la critica e il dissenso di chi non si allinea
sono considerate pratiche criminali». Il sindaco e il rettore «si
sentono come l’imperatore Serse – gridano verso Montecitorio – quando
nella guerra per conquistare la Grecia hanno trovato 300 spartani ad
affrontarli. Noi siamo orgogliosi di essere ben oltre 300». Per Stefano
Zarlenga, uno dei leader del movimento, la tecnica è ben nota: «Alzano
un polverone sulla Sapienza per nascondere il loro vero obiettivo,
ovvero quello di smantellare il sapere pubblico».
Sit-in a parte
c’è da pensare ad un 2009 che, appena cominciato, già si preannuncia
bollente in materia di istruzione. I vari collettivi universitari
cominceranno fin da questa settimana a convocare assemblee in tutte le
facoltà per fare la conta e ripartire. Non è semplice coinvolgere tanta
gente a partecipare, specie adesso con la sessione d’esame che incombe.
Ma è anche vero «che non ci può arrendere proprio ora, dopo i successi
dello scorso autunno», suona la carica Giorgio Sestili del collettivo
di Fisica della Sapienza che ha già ben in mente gli obiettivi a breve
termine. «Il diritto allo studio, la casa dello studente, la battaglia
contro l’aumento delle tasse, la riduzione delle tariffe delle mense e
la possibilità di ottenere più borse di studio». Punti chiari e
precisi, inseriti in quel progetto di autoriforma nato dalla due giorni
d’assise romana, nel novembre scorso, tra le varie facoltà d’Italia
«per riappropriarci dei tempi, dei desideri, degli spazi e dei saperi
nelle facoltà e nelle città». E anche nel mondo del lavoro: uscire dai
confini accademici è, infatti,l’altro grande obiettivo prefisso
quest’anno dall’Onda. L’esercito del surf è tornato.
Studenti in piazza, un corteo pacifico finisce a scontri
Pavlos Nerantzis
Atene
Esattamente
un mese dopo l’ uccisione di Alexis Grigoropoulos il movimento
studentesco greco, per nulla in disarmo, è sceso di nuovo in piazza per
manifestare. Ed è stata, ieri, la prima verifica di ciò che si vedrà
nelle prossime settimane. Migliaia di studenti, docenti universitari e
insegnanti di scuole medie e superiori hanno sfilato pacificamente per
le vie principali di Atene, Salonicco, Patrasso, Chania a Creta. Anche
se i cortei dei giovani comunisti e degli ultras erano separati, al
centro di tutti i cortei, oltre alla questione della riforma dell’
istruzione, la solidarietà al popolo palestinese.
Già negli ultimi
tre giorni, nelle assemblee universitarie, studenti e docenti avevano
deciso di organizzare servizi d’ ordine per proteggere sia gli atenei
che i cortei da elementi estranei. Ieri, comunque, a Propylea, punto di
partenza del corteo, tutti erano uniti contro chi avrebbe potuto
provocare incidenti. La manifestazione era pacifica. Il movimento,
secondo tutte le testimonianze, ha superato con successo la prova. Ma
anche questa volta la polizia ha mostrato i denti. Non a caso due
giorni fa, subito dopo il rimpasto governativo, il messaggio del nuovo
ministro dell’ ordine pubblico era stato chiaro: «tolleranza zero». Gli
scontri sono iniziati a manifestazione conclusa, appena un gruppo di
duecento ultras ha lanciato bottiglie molotov contro i poliziotti.
Tuttavia, «stranamente», le forze dell’ordine hanno attaccato i
manifestanti. E non solo. Giornalisti, cameramen, persino alcuni
avvocati, sono stati malmenati, feriti e trasferiti a forza in
questura. Il centro della capitale in un attimo si è trasformato in un
campo di battaglia. Più tardi è stato reso noto che sono state fermate
33 persone.
Ma il movimento degli studenti è determinato ad andare
avanti. Continua a chiedere giustizia per il compagno assassinato e
un’istruzione qualificata, che garantisca un posto di lavoro non
precario. Nello stesso tempo le organizzazioni studentesche stanno
discutendo nuove forme di lotta e prendono le distanze da atti di
violenza, dopo gli ultimi attentati con armi da fuoco contro i
poliziotti (uno di loro è ancora ricoverato in gravissime condizioni).
E respingono con determinazione il tentativo dell’ estrema destra e di
una parte dei conservatori di incriminare il movimento, collegandolo a
gruppi terroristici. «Le manifestazioni devono essere proibite, se i
manifestanti non sono capaci di governarle» ha sottolineato il
portavoce del partito nazionalista, Laos, presentando a questo
proposito una proposta in parlamento. Sempre in parlamento, il prossimo
23 gennaio, si svolgerà il dibattito sulla riforma dell’istruzione.
Intanto,
ieri è stato diffuso il risultato della perizia sull’ uccisione di
Alexis. Secondo gli inquirenti, il poliziotto ha sparato ad altezza d’
uomo. La pallottola, ha trovato prima un ostacolo di cemento, a pochi
passi da Alexis e sulla stessa traiettoria, poi ha raggiunto il petto
del giovane.
GRECIA Il premier Karamanlis rimpasta il
governo: trasferito il ministro dell’istruzione, licenziato quello
dell’economia e alcuni corrotti
Atene, si riaprono le scuole e il movimento degli studenti torna in piazza
Pavlos Nerantzis
ATENE
Con
problemi che in qualsiasi momento potrebbero provocare elezioni
anticipate, è cominciato l’ anno nuovo per Kostas Karamanlis. Oltre
alla crisi economica e agli scandali di corruzione, il premier deve
fare i conti con il movimento studentesco, che già oggi, primo giorno
di apertura delle scuole, scende in piazza, e con un’ opposizione che
non perde occasione per criticare aspramente l’ operato dei
conservatori. Su questo sfondo viene letto il rimpasto governativo,
annunciato mercoledi scorso. Dalla lista dei nomi che costituiscono il
nuovo gabinetto manca quello del ministro dell’ economia e braccio
destro del premier, Jorgos Alogoskoufis, criticato addirittura da
esponenti dello stesso partito governativo per mancanza di sensibilità
nei confronti degli strati sociali più deboli. Trasferito a un altro
ministero il ministro che fino a ieri era dell’ istruzione, Epaminondas
Stylianidis, considerato troppo duro nei confronti dei giovani, mentre
sono stati allontanati vice ministri immischiati nello scandalo del
monastero Vatopedi, che rischiano di essere processati per corruzione.
Karamanlis cerca di cambiare le carte in tavola per ottenere di nuovo
il consenso sociale, in calo soprattutto dal dicembre scorso, dopo l’
uccisione del giovane Alexis Grigoropoulos da parte di un poliziotto e
le mobilitazioni di massa degli studenti che hanno trasformato la
capitale e altre città in teatri di aspri scontri con la polizia.
Ma,
a sentire l’ opposizione, Karamanlis non è affatto disposto a cambiare
rotta e difficilmente riuscirà a cambiare il clima. Il nuovo ministro
dell’ economia, Jannis Papathanassiou, vice ministro fino a ieri,
cammina sulla stessa rotta neoliberalista del suo predecessore e il
ministro dell’ istruzione, Aris Spiliotopoulos, «può avere il look del
giovane, ma la riforma dell’ istruzione non è un affare mediatico». Il
buco nero di 4,41 miliardi di euro nella finanziaria 2009 sarà
difficilmente coperto, se non con nuove tasse, e le spese previste per
l’ istruzione appena arrivano al 3% del pil. Tutto ciò nel momento in
cui secondo le statistiche aumenta il numero dei ragazzi, soprattutto
figli di famiglie di migranti, che abbandonano la scuola. La
percentuale è arrivata al 45%.
Una prima verifica su ciò che
seguirà nelle prossime settimane si vedrà oggi, giorno in cui i
sindacati degli insegnanti e degli studenti manifestano ad Atene. Già
durante le feste natalizie migliaia di giovani hanno sfilato ad Atene e
Salonicco contro il massacro di Gaza, esprimendo la loro solidarietà ai
palestinesi. Il clima non è affatto calmo. Gli attacchi con gas
lacrimogeni, i maltrattamenti e i fermi di pacifici dimostranti sono
all’ ordine del giorno, mentre a livello politico si discute l’
abolizione del cosiddetto asilo universitario – entrato in vigore dopo
la caduta dei colonelli negli anni ’70 – che non permette alla polizia
di intervenire dentro gli atenei. Durante le feste gli ultras hanno
attaccato con ordigni incendiari filiali di banche, veicoli e agenti
della polizia. A preoccupare è l’uso, per la prima volta dopo tanti
anni, di armi da fuoco. Il timore tra gli inquirenti e il mondo
politico è che si stia formando una nuova generazione di gruppi armati
dopo lo scioglimento e gli arresti dei membri dell’ organizzazione
terroristica «17 Novembre». All’ inizio della settimana c’è stato un
attentato contro due poliziotti di pattuglia al ministero della
cultura, vicino al quartiere di Exarchia, teatro delle proteste di
dicembre. Uno dei poliziotti è rimasto gravemente ferito. I suoi
colleghi hanno sfilato per le strade di Atene. Finora la polizia ha
arrestato una settantina di anarchici, ma le indagini brancolano nel
buio.
Riflessioni sull’onda e sulla ricerca dal manifesto
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 19 Gennaio 2009
Qualche riflessione dal manifesto del 9 e dell’11 gennaio 2009 (qualche giorno fa abbiamo pubblicato l’articolo cui Flores d’Arcais qui risponde, sull’interessante numero speciale di MicroMega di cui consigliamo fortemente l’acquisto).
L’AMBIVALENTE E AMBIGUA CONDIZIONE STUDENTESCA
Un’onda VI SEPPELLIRÀ
Una risposta del direttore di «MicroMega» agli articoli che hanno presentato la rivista su queste pagine. Dal ruolo dell’università alla contingenza che caratterizza la figura dello studente. Temi proposti per una discussione sulle caratteristiche, le culture politiche del movimento e dei suoi possibili rapporti di alleanza con le altre mobilitazioni «repubblicane» della società civile
Paolo Flores d’Arcais
Francesco Raparelli e Augusto Illuminati sono stati prodighi di elogi per il numero speciale di MicroMega Un’onda vi seppellirà, ma hanno trovato del tutto sbagliato, e perfino contraddittorio con il resto del volume, il mio editoriale di apertura «Rivolta o ideologia» (il manifesto del 31 Dicembre 2008). Spero che il loro apprezzamento per il numero (della cui realizzazione il merito va in primo luogo a Emilio Carnevali e Cinzia Sciuto), così caldo e motivato, ne aiuti la circolazione tra gli studenti e sia il nostro piccolo contributo alle tenuta, al rilancio, alla crescita del movimento.
Quanto al merito dei nostri dissensi, che non vanno diplomaticamente ridimensionati ma certamente chiariti: la questione principale è l’analisi della figura sociale dello studente nell’ambito di una più generale analisi delle nuove figure produttive – e sfruttate – (il «general intellect»), del capitalismo postfordista.
Ora: l’università è anche il luogo di formazione di tutte le forme di lavoro precario che caratterizzano il capitalismo attuale, e lo studente è dunque anche il precario delle nuove forme di sfruttamento e dominio (per usare il linguaggio standard).
Anche, ma non solo. Perché l’università è anche il luogo di riproduzione di tutte le figure sociali dominanti e collaterali e domestiche dello sfruttamento. È insomma anche (e magari soprattutto) il luogo di riproduzione dell’establishment. Dei «padroni» e manager e di tutti gli apparati di repressione, controllo, mediazione, consenso, che mantengono in vita il sistema. Non riconoscere come essenziale questa funzione dell’università significa rovesciare ogni materialismo e immergersi nel più puro idealismo sociologico (una contraddizione in termini). Significa immaginare uno sfruttamento senza sfruttatori, un dominio senza dominanti, o far discendere l’establishment dal cielo.
Se dunque l’università è il luogo in cui si riproducono tutte le figure sociali, contraddittorie e antagoniste, e non solo quelle multiformi del precariato «general intellect», la figura sociale dello studente risulterà strutturalmente ambivalente. E in più sensi.
Tra precariato e establishment
Socialmente ci saranno studenti che (per semplificare) diventeranno establishment e studenti che diventeranno «general intellect», secondo linee che in larga misura replicheranno i ruoli delle famiglie di origine, ma in misura significativa segneranno invece mobilità da una classe all’altra (sempre per usare un linguaggio standard: e quasi sempre dalla sfruttata all’establishment), mentre la cultura che verrà trasmessa, sia per i contenuti che per i metodi, sarà un intreccio di addestramento a questi ruoli e di sapere critico capace di metterli in discussione, e si potrebbe continuare. Tutte queste ambiguità e ambivalenze passano anche, potenzialmente, all’interno di ogni singolo studente, diviso tra prospettive di integrazione/carriera nell’establishment, forme diverse di sfruttamento, ecc.
Ecco perché una analisi meramente «produttivistica» della figura sociale dello studente mi sembra quanto di più idealistico vi sia, e mi sembra ripeta, quasi alla lettera, mutatis mutandis, lo stesso errore che veniva fatto dalle componenti «operaiste» del movimento studentesco del ’68. Dell’altro ideologismo, di matrice più classicamente marxista-leninista, che Raparelli stesso critica, non mi sono occupato perché non mi sembra abbia possibilità di effettiva influenza, dato il carattere francamente arcaico delle analisi.
Se dunque lo studente è una figura sociale ambivalente, perché transitoria, la scelta etico-politica di ciascuno, e del movimento nel suo complesso, diventa elemento cruciale per la sua tenuta e il suo futuro (l’elemento di «soggettivismo», sempre per usare il linguaggio standard: rivoluzionario o riformatore che tale «soggettivismo» sia,). Del resto, non si capirebbe altrimenti perché settori consistenti del mondo studentesco non partecipino alle lotte, e anzi le combattano, e si schierino politicamente a destra. Per dirla brutalmente, «sfruttato» e «sfruttatore» nello studente potenzialmente convivono, poiché convivono possibili futuri (benché le chance per ciascuno singolarmente preso siano tutt’altro che eguali, come è ovvio).
Le asimettrie di potere
Se si guarda perciò materialisticamente allo studente e alla sua ambivalenza, e all’ambivalenza del sapere che nelle università viene trasmesso, ne scaturiscono conseguenze (problematiche) sia per i rapporti con altre opposizioni repubblicane nella società sia per la questione della «autoriforma» dell’università dal basso.
Della «autoriforma» parte essenziale dovrebbe già essere la «autoformazione», che Augusto Illuminati considera diversa in linea di principio dai controcorsi del ’68 (imputando a Carnevali e Sciuto di aver invece evidenziato la continuità tra i due fenomeni).
Ora, «autoformazione» non può essere una sorta di parola magica, un abracadabra che al momento di realizzarsi tecnicamente o fallisce o si riempie di modalità e procedure che ne vanificano gli intenti. Ma la formazione contiene sempre un elemento irriducibile e ineludibile di trasmissione del sapere. Potrà avvenire in forme pedagogiche e di «potere» ex-cathedra radicalmente diverse dalle attuali (esistono elaborazioni sull’argomento affascinanti, soprattutto di matrice anarchica, dagli asili di infanzia all’università), ma l’elemento di trasmissione, e relativa asimmetria tra docente e discente, sussisterà, quali che siano le forme nuovissime inventate. Ma sono proprio queste forme che mi sembra non vengano analizzate affatto, per la difficoltà di affrontare la pietra di inciampo dell’asimmetria del sapere. E del significato diverso che nei vari rami tale asimmetria può avere (in fisica delle particelle e in etruscologia è diversa che in «Storia del reality», che prima o poi diventerà un corso).
La formazione, insomma, potrà essere più o meno critica, più o meno partecipata e seminariale, più o meno «cattedratica», ma non potrà mai essere «auto», pienamente democratica, come una grande repubblicana, Hannah Arendt, ha spiegato infinite volte. Chiarire in che modo ciò si differenzi davvero dai controcorsi, in che modo implichi pedagogie nuove della trasmissione del sapere, in che modo debba cambiare il ruolo del docente, che strutturalmente non sarà mai eguale allo studente se non in una retorica che si accontenta di parole, è quanto il movimento ancora non ha fatto (semmai lo ha cominciato, ma soprattutto tra i ricercatori e i dottorandi di alcune facoltà scientifiche).Vedo insomma il rischio, micidiale per il movimento, che «riconquistare democraticamente le grandi istituzione del welfare» rimanga una formula suggestiva, un appagamento emotivo, non uno strumento materialistico di lotta.
I fronti di lotta
Del resto, realizzare una riforma non è neppure il compito essenziale di un movimento di studenti. Se non si trasformano assetti cruciali della società, e in essi della ricerca, dell’informazione, del diritto, ecc., il destino dello studente sarà sempre di diventare in larga misura un precario, in altra misura (anch’essa assai larga) un membro dell’establishment nei suoi vari settori e livelli gerarchici, e solo in casi privilegiati, e socialmente poco rilevanti (epperciò tollerati dal sistema), un lavoratore che nella sua stessa attività lavorativa non si troverà scisso dai suoi «diritti del cittadino» e dall’esercizio della sua porzione di «sovranità popolare», solennemente ricamati nella Costituzione ma calpestati e vilipesi nella sfera della vita reale (e sempre più anche in quella «astratta» della politica).
Ecco perché io ritengo essenziale, per il futuro del movimento, che sappia collegarsi-a, ri-animare, suscitare, iniziative di lotta in altri settori e ambiti tematici (altromondisti, girotondi, piazzenavone, ecc., senza dimenticare la laicità, che il nuovo invito del rettore al Papa rende di stringente attualità).
Sono solo accenni, che si prestano ad essere equivocati, e per approfondire i quali «MicroMega» ha avanzato al movimento la proposta, proprio tramite uno degli autori degli articoli, Francesco Raparelli, di una discussione pubblica all’Università. Che mi auguro avvenga nel vivo di una lotta di nuovo in corso.
UNIVERSITÀ
L’anomalia ancora da costruire
Benedetto Vecchi
L’onda si forma, cresce e poi rifluisce. È un fatto noto, ma se è anomala può infrangere ogni modello di analisi. E il movimento contro le proposte del ministro Mariastella Gelmini ha subito dichiarato la sua anomalia. Anche quando sembrava che avesse lasciato il posto alla risacca, ha mandato a dire che non voleva essere un movimento dipendente dalle azioni del potere politico, sia che vestisse le divise istituzionali che gli abiti di un qualche partito, sia che fosse presente o non in Parlamento. E quando ha pacificamente paralizzato, almeno a Roma, cioè nella capitale, sede del parlamento, la vita pubblica già affermava che quella invasione della città era solo un assaggio della sua potenza.
Ma poi la parola è passata a Mariastella Gelmini, che, se su YouTube invitava al confronto, nelle stanze segrete del ministero stilava pessimi decreti attuativi della riforma della scuola primaria e modificava il decreto legge sull’Università. Ieri, infine, il voto in Parlamento che ha approvato la nuova versione.
Sulle modifiche introdotte non c’è molto da dire. Gli ottimisti potrebbero dire che è solo maquillage, i pessimisti che sono peggiorative. Più realisticamente si può dire che il ministro rompe ogni indugio e mette nero su bianco un tassello importante nel progetto di una differenziazione dei finanziamenti alle università, al fine di creare centri di eccellenza e università di «secondo piano». E che uno dei criteri portanti è dato dalla riduzione dei costi del personale. Una logica aziendalista denunciata nei mesi scorsi, ma le modifiche introdotte, stabilendo che sia il bilancio a stabilire quali gli atenei meritevoli e quelli no, la dicono lunga sullo stile di pensiero attorno alla formazione di questa compagine governativa.
Quando dal governo giunse la dichiarazione che il decreto non sarebbe stato rinnovato per presentare una proposta organica di riforma, in molti scrissero che se non era una vittoria piena le mobilitazioni erano riuscite almeno a mettere in difficoltà Silvio Berlusconi. Ma i decreti attuativi e il voto di ieri mettono in evidenza una strategia del governo, che dovrebbe far riflettere. Il governo, infatti, di fronte al conflitto sociale ha scelto una precisa strategia. Si dice sempre disposto al dialogo, sceglie un basso profilo rispetto alle manifestazioni di piazza, ma poi quando le mobilitazioni perdono intensità riprende il suo cammino come se nulla fosse accaduto. Un cambiamento di strategia rispetto alla precedente esperienza governativa di Silvio Berlusconi, quando il cavaliere mostrava il volto duro del decisionista che non indietreggiava di fronte a nulla.
La prola torna adesso all’Onda per dimostrare la sua anomalia. Vuol creare una propria agenda politica senza diventare una variabile dipendente di nessuno. Non vuole cedere alle lusinghe di chi la corteggia; sostiene semmai che i suoi soli e naturali alleati sono gli altri movimenti sociali. Una strategia espositiva delle proprie ragioni che paga in termini di consenso, perché mostra una capacità autonoma di elaborazione. Ma proprio perché vuole essere una forma specifica dell’agire politico, l’Onda è costretta a misurarsi con i nodi della politica. La costruzione del consenso, ovviamente, ma anche la necessità di dare continuità alla propria azione. Assieme a una lettura dei rapporti sociali vigenti. E di conseguenza il nodo del potere e delle alleanza da stabilire. Se la scelta è di non delegare alle forze politiche la rappresentanza delle proprie proposte è con questo ordine del discorso che si misura un sempre un movimento sociale
Il filosofo francese Alain Badiou ha scritto che la politica si può pensare solo in casi eccezionali, quando cioè si crea una rottura nel tempo lineare dell’esercizio del potere. Solo in questi casi, afferma Badiou, la politica può essere pensata. È difficile sostenere che la realtà italiana sia in questa situazione. Eppure l’Onda ha accumulato sapere critico, una vision innovativa sul tentativo di trasformare il sistema della formazione in una struttura di servizio delle imprese.
È finora sfuggita anche alla tentazioni di trasformarsi in un movimento che privilegia una single issue, lasciando così ad altri il compito di trovare una praticabilità politica di quella «questione». Non riesce però a pensare politicamente la parzialità da cui guarda la totalità dei rapporti sociali. Urgenza data anche da una crisi economica che sta radicalmente e ferocemente cambiando il panorama sociale e le caratteristiche del capitalismo che sin qui è stato variamente chiamato neoliberista, postfordista o cognitivo.
Nei mesi scorsi l’Onda ha mandato a dire che è fatta di uomini e donne che non «mollano mai»; che l’Università è diventata un nodo importante nella produzione della ricchezza e che i progetti di riforma vogliono legittimare il fatto di trasformarla in attività direttamente produttiva. Tematiche e attitudini al conflitto che devono fare i conti con una politica istituzionale che fonda la sua legittimità nell’investitura avuta nel voto elettorale. Ma se si vuole incrinare il monopolio della decisione politica occorre che quei temi e attitudini diventino discorso programmatico. Innovando dunque le forme di agire politico e di organizzazione, evitando così i vicoli ciechi del passato.
L’anomalia è uno stile di pensiero e di agire politico da sperimentare. Anche perché altrimenti un’onda è destinata sempre alla risacca. L’anomalia va quindi inventata in una pratica culturale e politica dove nulla è dato per scontato. Neppure quello che sembrava acquisito.
SAGGI
Il male oscuro della ricerca scientifica
«La guerra segreta contro il cancro» di Devra Davis
Luca Tomassini
DEVRA DAVIS, STORIA SEGRETA DELLA GUERRA CONTRO IL CANCRO, CODICE EDIZIONE, PP. 459, EURO 35
A partire dagli anni Sessanta, nel tentativo di «spiegare» la scienza, molti studiosi abbandonarono l’epistemologia per dedicarsi alla sociologia. Oggi, da molti degli eredi (o presunti tali) di quella svolta un fatto è considerato scientificamente accertato se lo è dagli «esperti» del settore, gli scienziati appunto, magari dopo confronto aperto e democratico. Qualcuno si era persino spinto nel piccolo della «vita di laboratorio» per fare l’etnologia del ricercatore. Ebbene, le stanze occulte delle quali si parla in Storia segreta della guerra contro il cancro della studiosa americana Devra Davis non sono quelle dove ufficialmente si produce conoscenza ma quelle del potere e del denaro. Dove la scienza è comprata e venduta, occultata o trasformata in evento rivoluzionario. I luoghi quindi in cui si controlla e determina la direzione che prenderà la ricerca, nella più completa (e complice) inconsapevolezza della maggior parte degli stessi scienziati.
Epidemiologa di fama internazionale, ex direttrice dell’Ufficio di studi ambientali e tossicologici dell’Accademia delle scienze statunitense, Davis è attualmente alla testa del Centro di oncologia ambientale dell’università di Pittsburgh, dal quale prosegue la battaglia di una vita contro il male del secolo e i molti suoi complici. Le sue armi non sono però farmaci o tecnologie di diagnosi sempre più avanzati e costosi, ma analisi statistiche della morte chiamate epidemiologia. Il suo affermarsi a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, spiega Davis, ha costituito un potente e insostituibile strumento per dimostrare (a posteriori) la stretta correlazione tra inquinamento ambientale, produzione industriale e la vera e propria epidemia di cancro nella quale siamo immersi. La sua trasformazione in tempi recenti in strumento per mettere fuori gioco qualunque valutazione scientifica di rischi sanitari è una vicenda emblematica che fa da sfondo all’intero libro.
Sono passati più di trent’anni da quando Nixon, per far dimenticare la sconfitta dell’esercito americano in Asia, lanciò la sua famigerata guerra contro il cancro. Enormi finanziamenti furono concessi per afferrare il sogno di una «cura definitiva». Macchine e sostanze chimiche per contrastare gli effetti indesiderati della produzione di macchine e sostanze chimiche, il circolo virtuoso dell’economia. Oggi sappiamo che nonostante molti indubitabili successi, i principali risultati sono stati in realtà ottenuti grazie alla prevenzione. Ovvietà tutt’altro che ovvie, e le oltre quattrocento pagine del libro sono un tentativo di spiegare come sia stato possibile che fatti ragionevoli e peraltro molto bene accertati abbiano potuto essere ignorati per decenni (e tuttora) dalle autorità.
La risposta getta una luce sulla natura della ricerca scientifica e del suo posto nella società capitalistica, sulla debolezza morale di tanti dei sui protagonisti, sull’oscuro intreccio tra poteri pubblici e privati che tanto ha condizionato lo sviluppo del welfare state negli Usa ma non solo. Davis si concentra in particolare sulla vita dell’accademico Robert Kehoe, tra i padri della moderna oncologia statunitense, studioso serio e affidabile per tutta la vita sul libro paga della DuPont. Con i gradi di capitano dell’esercito degli Stati Uniti fu spedito nella Germania distrutta dai bombardamenti per raccogliere e occultare i frutti delle avanzatissime ricerche dei colleghi tedeschi. Quel materiale non è mai stato pubblicato, Kehoe e i suoi potenti padroni lo hanno sottratto alla scienza e soprattutto al pubblico. Il suo esempio è stato ampiamente seguito, e l’Europa pretende di fare oggi ancora di più: il suo programma «Reach» assegna infatti alle imprese l’incarico di valutare i rischi delle sostanze chimiche!
Altra figura centrale della storia è quella del britannico Sir Richard Doll, tra i fondatori della moderna analisi statistica e noto per le sue dotte smentite delle evidenze di un legame tra cancro ai polmoni e fumo. Non ha mai reso note le cospicue parcelle che intascava dalle industrie del tabacco. Ma Doll è stato soprattutto un grande ispiratore di una strategia tutta fatta di scienza seria e severa, capace di trasformare il dubbio di chi meglio vuole conoscere in arma letale contro ogni evidenza avversa a chi possa permettersi di pagare (anche nuove ricerche, non solo tangenti). Fino all’assurdo di rifiutare le tradizionali evidenze sperimentali (tumori indottti su animali) della cancerogenicità di molte sostanze come prove per adottare misure cautelative. In fondo, se non siamo assolutamente sicuri che una sostanza sia pericolosa per gli esseri umani non c’è motivo per vietarla, e per esserlo è necessaria una schiacciante evidenza epidemiologica. Che per sua natura arriva a cose fatte e persone decedute, spesso addirittura quando i prodotti incriminati hanno esurito il loro ciclo di vita sul mercato. Non si tratta di questioni di principio, ribadisce Davis, ma di sentenze della Corte suprema degli Stati uniti come la tristemente nota «Daubert contro Merrel Dow Pharmaceuticals» del 1993.
Un quadro davvero desolante, che dovrebbe far riflettere tanto gli entusiasti sostenitori del «privato controllato» nel campo della sanità quanto quelli della triade miracolosa valutazione-merito-efficienza. La stessa Davis, però, sembra cadere in un analogo equivoco. La sua proposta è una sorta di Tribunale per la giustizia e la riconciliazione sullo stile di quello che ha portato il Sudafrica fuori dall’apartheid. Il ragionamento è semplice. Chiedere alle imprese di pagari i danni equivarrebbe a condannarle a morte, meglio allora che riconoscano le loro colpe e in cambio (oltre per carità a qualche risarcimento) forniscano tutte le informazioni e ricerche in loro possesso. Davis è una sostenitrice di Obama nonché esponente di spicco dell’associazione di Al Gore e magari con loro avrà la sua rivoluzione. Ma forse, per chi ha a disposizione Veltroni e D’Alema, l’Onda è una soluzione più realistica.
L’Onda per il «boicottaggio accademico di Israele», ma i docenti dicono no
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 19 Gennaio 2009
Dal manifesto del 16 e 17 gennaio 2009.
Ricordiamo anche un interessante documento scritto nel 2005 dal movimento che era sorto in seguito alle proteste contro i provvedimenti del ministro Moratti: Scienza etica.
L’ONDA
«Non collaborare con atenei israeliani»
Un appello ai ricercatori italiani affinché
interrompano le collaborazioni con le istituzioni di ricerca pubbliche
e private israeliane e in generale con quelle legate all’industria
bellica. A farlo è l’assemblea degli studenti dell’Onda del
Dipartimento di fisica della Sapienza di Roma, al fine di «sostenere la
pressione sociale internazionale, che chiede la fine degli attacchi di
Israele ai territori palestinesi». Il documento, elaborato dopo giorni
di discussione degli studenti sui fatti di Gaza, chiede inoltre «alla
comunità scientifica e alle istituzioni di ricerca israeliane di
pronunciarsi contro le operazioni belliche in corso e le politiche di
guerra del governo israeliano». L’appello sostiene che «l’attuale
situazione del conflitto è solo il tragico compimento di anni di
politiche di isolamento della società palestinese» e che «l’attacco
totale alla vita del popolo palestinese passa anche dalla chiusura di
diverse università palestinesi e dall’impedimento pratico allo
svolgersi di una normale vita accademica senza che nessuna istituzione
accademica israeliana si sia mai pronunciata a riguardo».
Per aderire: smilitarizziamolaricerca@gmail.com
UNIVERSITÀ Uniti contro la venuta del papa alla
Sapienza ora studenti e professori si dividono su come reagire alle
bombe su Gaza
L’Onda per il «boicottaggio accademico di Israele», ma i docenti dicono no
Stefano Milani
ROMA
«Boicottaggio delle università israeliane».
La parola d’ordine riecheggia da giorni tra i corridoi e nelle aule del
dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma. Cuore pulsante dell’Onda
studentesca e da dove, nel gennaio dello scorso anno, partì quella
famosa lettera, firmata da 67 tra docenti e scienziati, all’indirizzo
di papa Ratzinger ospite sgradito all’inaugurazione dell’anno
accademico. Allora tutti erano d’accordo, docenti e studenti. Adesso le
divergenze si fanno sentire. Niente questioni di laicità stavolta, in
ballo c’è la posizione da tenere sui fatti di Gaza. Anzi, come
rispondere a quei fatti. «Smilitarizziamo la ricerca, stop al massacro
a Gaza». Con questo striscione un gruppo di studenti ha fatto ieri
irruzione all’interno del dipartimento di Fisica dell’università La
Sapienza di Roma, per chiedere di «interrompere ogni collaborazione con
tutte le istituzioni di ricerca israeliane», in particolare «quelle
legate all’industria bellica» e «per sostenere la pressione sociale che
chiede la fine degli attacchi in Palestina».
E così, al grido di
«Noi la guerra non la facciamo», gli studenti hanno interrotto una
lezione tenuta dal direttore del dipartimento di Fisica, Giancarlo
Ruocco, per chiedere una posizione ufficiale sul «massacro in atto in
Palestina». I ragazzi chiedono «l’immediata interruzione delle
collaborazioni con le istituzioni di ricerca israeliane» e nello stesso
tempo chiedono «alla stessa comunità scientifica di Israele di
pronunciarsi contro le operazioni belliche in corso». Ma il docente,
che è responsabile dal 2005 di un progetto sulla fotonica in
collaborazione con tre atenei israeliani tra cui quello di Tel Aviv, di
boicottaggio non vuole sentir parlare. «Condanno la guerra ma non
fermeremo la collaborazione che abbiamo con alcune università
israeliane». Il motivo? «Non possiamo sapere quale futuro possano avere
queste applicazioni, se andranno in una direzione positiva o verso
comportamenti disdicevoli come quelli bellici», ma «tutti i prodotti
della nostra ricerca saranno sempre pubblici e non coperti dal segreto
del risultato».
Il massimo che Ruocco è riuscito a promettere ai
suoi studenti è che mercoledì prossimo, durante il consiglio di
dipartimento, verrà votato un documento di condanna contro le bombe su
Gaza. Promessa che però non soddisfa del tutto i ragazzi dell’Onda che
continueranno la loro battaglia a partire dalla manifestazione di oggi.
«L’attacco totale alla vita del popolo palestinese – si legge nel loro
appello – passa anche dalla chiusura di diverse università palestinesi
e dall’impedimento pratico allo svolgersi di una normale vita
accademica. Tutto questo è accaduto senza che nessuna istituzione
accademica israeliana si sia mai pronunciata a riguardo. Per questo
chiediamo ai ricercatori israeliani non solo di prendere parola, ma di
mettere in pratica azioni dirette che inceppino il meccanismo bellico».
Tutti al presidio contro gli assalti del padrone
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 16 Gennaio 2009
Dal manifesto del 15.
Hanno partecipato al presidio anche alcuni studenti di CittàStudi.
Mariangela Maturi
MILANO
Altra giornata campale per i lavoratori della Innse
Presse di Milano. Quarantanove operai contrastano la chiusura della
loro fabbrica con un presidio permanente. Ieri hanno dovuto difenderla
dal padrone che ancora una volta ha mandato i camion per prelevare i
macchinari.
Nell’area ex-Maserati gli stabilimenti hanno chiuso i
battenti uno dopo l’altro. La Innse produceva presse con macchinari in
ghisa costosissimi. Il proprietario, Silvano Genta, di formazione
rottamatore, era stato presentato come «il salvatore della Innse» due
anni fa. Lo scorso giugno ha deciso di chiudere, vendere le presse e
guadagnare milioni di euro, lasciando il terreno alla speculazione
edilizia affamata di nuovi progetti in vista dell’Expo. Il paradosso è
che la produzione andava bene. Per tre mesi i lavoratori hanno
continuato a lavorare autogestendo commesse, produzione, mensa e turni.
Questo autunno sono stati buttati fuori e hanno piazzato un camper
davanti alla fabbrica per presidiare il posto di lavoro giorno e notte.
Il 18 dicembre Genta aveva già tentato di varcare i cancelli per
prelevare i macchinari. Ieri mattina, alle 6, ci ha riprovato, ma è
stato nuovamente respinto da 150 persone.
La storia di questa
resistenza è nata in sordina, neppure sindacati e istituzioni speravano
che si potesse far qualcosa. Adesso persino la Regione Lombardia cerca
di trovare un accordo. Anche perché sin da giugno un possibile nuovo
acquirente c’era, la ditta Ormis.
Ieri mattina l’assessore
all’Istruzione della Provincia Giansandro Barzaghi e il consigliere
provinciale Luca Guerra si sono incatenati ai cancelli per impedire lo
smantellamento della fabbrica. Nel frattempo, il vicepresidente della
Regione, Gianni Rossoni, ha ufficializzato l’intenzione di incontrare
le forze in gioco martedì prossimo. Nell’attesa non si tocca nulla.
«Martedì
sarà tutto da costruire – ha dichiarato Luciano Muhlbauer, consigliere
regionale del Prc – è da vedere quale atteggiamento deciderà di tenere
il Comune, fino ad ora di fatto assente». Concorda Piero Maestri,
consigliere provinciale di Sinistra Critica: «Le istituzioni devono
risolvere la situazione di una fabbrica che muore per una
speculazione».
Dietro la chiusura della Innse ci sono molti
interessi. Per la Aedes, società titolare del progetto di
riqualificazione della zona, si tratta di una miniera d’oro. Stando al
sito della Aedes, si scopre che una piccola quota (il 2%) è di Silvio
Berlusconi. Sorpresa. «Riflettendoci – constata Piero Maestri – chissà
cosa dice il premier sulla fine di una società produttiva, viste le sue
dichiarazioni sulla crisi…». Fatto sta che ora altri lavoratori delle
fabbriche in crisi si sentono molto più vicini ai colleghi della Innse.
onda anomala in galleria 15 gennaio
Scritto da cittaztudi in Università il 15 Gennaio 2009
Dopo l’interfacoltà di martedì, oggi alcune decine di studenti hanno svolto un’azione comunicativa in galleria con volantini, torcie, megafono, mentre veniva srotolato uno striscione dalla balconata. Ribadito il no al DL 180 (convertito in legge) e alle politiche del governo in materia di istruzione.
Comunicato Stampa:
L’onda Anomala Milano ritorna a farsi sentire. La conversione in legge del DL 180 non ferma gli studenti che oggi, 15 Gennaio 2009, riprendono la mobilitazione.
Galleria Vittorio Emanuele, uno striscione calato dall’alto di una balconata.
Una cinquantina di studenti con volantini, torce colorate e megafono, dimostrano la voglia di andare avanti con lo slogan "180 volte no. Voi approvate – noi blocchiamo"
volantino distribuito: volantino interfacoltà.doc
INTERFACOLTA’ MARTEDì 13 H 14 IN FESTA DEL PERDONO
Scritto da cittaztudi in Università il 11 Gennaio 2009
è convocata un’assemblea interfacoltà per martedì 13 alle 14 in festa del perdono (aula da definire). si discuterà di come impostare il lavoro nei prossimi mesi e di come dare una risposta (ormai non più) immediata all’approvazione del DL 180 che è avvenuta giovedì.
siete tutti invitati a partecipare, appuntamento per cittastudi in atrio aula magna in fdp (così evitiamo di perderci).
9 gennaio
Scritto da cittaztudi in Università il 7 Gennaio 2009
tra il 7 e l’8 gennaio la Camera vota – con la fiducia – la trasformazione in legge del DL 180.
venerdì 9 gennaio alle 12.30 ci vediamo a fisica in aula D, per discutere di questo e delle iniziative decise all’ultima assemblea.
coord. città studi
Rassegna stampa del 31 dicembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 3 Gennaio 2009
Dal manifesto:
L ANALISI DELL ULTIMO MICROMEGA
ONDA ANOMALA
Un documentato numero della rivista sul
movimento. Ma con un editoriale che considera un esercizio di cattiva
ideologia le innovative analisi prodotte sul mercato del lavoro e
sull’università
Francesco Raparelli
Lo speciale di MicroMega Un’Onda vi seppellirà è
davvero un materiale prezioso. In prima fila il lungo testo di Emilio
Carnevali e Cinzia Sciuto che ricostruisce con grande completezza e
serietà la discussione politica interna al movimento. A seguire la
tavola rotonda, la prima, anch’essa occasione di approfondimento utile
e ricca. In generale un testo che verrà letto e che accompagnerà la
ricerca di tante e tanti, di chi il movimento lo ha visto dall’esterno
e per questo vuole capirne qualcosa in più, ma anche di chi il
movimento lo ha vissuto in prima persona e dunque vuole capire meglio,
riconnettere i fili dell’esperienza vissuta. Con facilità possiamo
parlare di un esperimento ben riuscito.
La mia attenzione, per ovvi
motivi, si appunterà sull’editoriale di Flores d’Arcais. Secondo
Flores, infatti, la potenza del movimento sta per essere cancellata
dalle ideologie e dai gruppuscoli, incapaci di fare i conti con la
complessità del presente, avidi di piccoli poteri massimalisti,
funzionali all’establishment politico. La cosa divertente, poi, è
l’identificazione teorica di questi gruppuscoli: l’ideologia
all’interno del movimento non è rappresentata da chi parla ancora di
una vuota (perché non articolata e non attualizzata) quanto inefficace
«unità operai-studenti», né tanto meno da chi (e purtroppo ce ne sono)
al discorso dell’autoriforma contrappone la rivoluzione socialista con
tanto di partiti e partitini comunisti in testa; l’ideologia è quella
di chi parla di general intellect e di nuove figure produttive.
Hegeliano e ideologico secondo Flores è chi si sforza di guardare con
lenti nuove ai processi produttivi e al rapporto tra formazione e
lavoro; chi, da materialista, non può non fare i conti con una
composizione del lavoro completamente mutata, dalle forme contrattuali
al modo stesso di lavorare (ma la macchina informatica è l’equivalente
della catena di montaggio?).
L’esperienza della precarietà
Vent’anni
di riforme europee, libri bianchi, new-economy e deregulation
contrattuale, sembrano d’improvviso non contare nulla. Ma non è di
certo necessaria la sociologia del lavoro per rispondere a Flores,
sarebbero sufficienti, infatti, i racconti di chi da precario vive oggi
il mercato del lavoro, fuori e dentro l’università. Parlare di un modo
nuovo di lavorare significa ormai raccontare qualcosa che appartiene
all’esperienza di tutte e tutti, per lo meno di chi ha tra i venti e i
trent’anni. Non si tratta di certo di una figura unica e omogenea: il
nuovo lavoro precario e cognitivo (relazionale, affettivo,
comunicativo) è molteplice e frammentato; in più si svolge e si allarga
all’interno di un sistema produttivo sempre più integrato globalmente.
È
vero i lavori sono molti, sono ampie le sacche, specie sul piano
globale, di lavoro operaio tradizionale: ma quando ad essere centrale
era il lavoro operaio fordista forse non persistevano forme produttive
di altra natura? E ancora dire che il lavoro, soprattutto di nuovo
tipo, incorpora qualità comunicative e relazionali (che non vuol dire
di certo alte competenze tecnico-scientifiche) significa costruire una
nuova ideologia gruppettara o parlare della realtà lavorativa in
Europa? Basterebbe, inoltre, definire la continuità delle lotte
europee, dal movimento anti-cpe del 2006 in Francia, all’Onda, fino
all’esplosione greca di queste settimane per cogliere, nel vivo delle
lotte, un tessuto sociale e generazionale nuovo, precario e senza
futuro, per la maggior parte interno ai cicli delle formazione
superiore o all’intermittenza formazione-lavoro.
Siamo convinti che
Flores abbia equivocato, forse mosso da fantasmi del suo passato
personale e collettivo. Dire che questo movimento non si è posto e non
si sta ponendo il problema delle riforme è altrettanto sbagliato.
La
tematica dell’autoriforma, infatti, propone un modo nuovo di procedere:
l’università così com’è non va bene, l’università può e deve
sperimentare il cambiamento attraverso un lungo processo di riforma dal
basso, processo che non ha governi amici (d’altronde le spinte
riformiste che hanno distrutto l’università negli ultimi quindici anni
non sono di certo targate centro-destra).
La Repubblica che verrà
Avversata
da chi, sicuro del futuro socialista, la vede figlia di un meccanismo
concertativo (spiegano bene questo punto di vista Sciuto e Carnevali),
l’autoriforma parla del desiderio di riconquistare democraticamente le
grandi istituzione del welfare, quelle stesse istituzioni che la
strategia liberista vuole dismettere e dislocare sul terreno del
mercato (quanto si spende in Usa per formazione e sanità?). Certo per
far questo non basta la lotta degli studenti e dei ricercatori, ci
vorrebbe anche il coraggio di chi nella docenza ritiene questa
università insopportabile almeno quanto quella che viene (fatta di
aumento delle rette, differenziazione dei finanziamenti,
privatizzazione della ricerca).
Per chiudere sulla questione del
repubblicanesimo anti-establischment. Qui davvero l’equivoco si fa
ancora più divertente. Vale oggi, infatti, il principio repubblicano,
perché forme di vita, istanze etiche e modi di produzione prendono le
distanze dalla tradizionale mediazione socialista o statalista (proprie
dell’accumulazione fordista-keynesiana). Repubblica perché non Stato e
non Repubblica statalista e forcaiola.
È forte nel movimento un
atteggiamento legalista anti-establishment, è vero, ma è un
atteggiamento che aggredisce l’intero sistema della rappresentanza
politica e allude ad una legalità di nuova natura, repubblicana
appunto, perché prodotta dal basso, nelle lotte. Un repubblicanesimo
della libertà e dell’autogoverno è quello che si esprime
nell’autoriforma dell’Onda.
Pochi appunti, per fare premio a chi ha
dato vita ad un ottimo esperimento editoriale, ma che forse ha centrato
male il bersaglio della sua critica.
Tra governo e Onda partita ancora aperta
Giuseppe Caliceti
Il primo tempo della partita sulla scuola tra
governo e Onda primaria che si è giocata nel 2008 si è chiuso in
sostanziale parità. Dopo i tagli sconsiderati inflitti nell’estate, c’è
stata una pronta e in parte inaspettata reazione da parte del mondo
della scuola pubblica italiana che ha smascherato i tentativi di
Gelmini di giustificarli in ogni modo, al punto di farla tornare,
almeno a parole, sui suoi passi. In realtà la partita è ancora aperta e
il secondo tempo è fissato proprio con l’inizio del 2009. Dai primi
mesi si riapriranno infatti le iscrizioni alla scuola primaria.
Gelmini, in evidente difficoltà, ha dichiarato che i genitori degli
alunni potranno scegliere tra vari tipi di scuola: il maestro unico a
24 ore, il maestro prevalente più gli specialisti a 27 o 30 ore, i due
docenti su una classe che rappresentano il tempo pieno a cui siamo
abituati di 40 ore. Tutto fumo negli occhi. Perché ha aggiunto una
clausola non da poco: «salvo disponibilità dell’organico». E Gelmini ha
programmato uno dei più grandi «tagli» al personale che la scuola
italiana ricordi: 250.000 posti di lavoro in tre anni. Ci sono comitati
genitori-docenti anti-Gelmini che oggi propongono, come anche noi
avevamo suggerito alcuni mesi fa in modo provocatorio, di richiedere
compatti come genitori degli alunni il tempo pieno, trasformando il
momento dell’iscrizione in un referendum dal basso. Una buona idea. Ma
cosa si aspettano? Che Gelmini li accontenti? O di svergognarla? A
parole è già tornata più volte sui suoi passi. Senza alcun pudore. Non
è più questo il punto. Occorre che l’Onda primaria, dopo la forte
mobilitazione che c’è stata nel 2008, non si senta troppo ottimista.
L’obiettivo del contendere è sempre lo stesso: il taglio ai fondi e al
personale della scuola pubblica. Nonostante le dichiarazioni fatte,
Gelmini non aumenterà mai le scuole a tempo pieno perché sono
«antieconomiche». Ammettiamo che i genitori compatti chiedano per i
figli le 40 ore del tempo pieno: tirerà fuori, semplicemente, la
clausola della mancanza d’organico. In realtà Gelmini farà come ha
fatto la Moratti: cercherà di abbattere il tempo pieno. E’ sempre
questo modello di scuola a essere in ballo, nonostante le rassicuranti
false parole del ministro. Questo è il disegno iniziale. Per questo è
nata la promozione del «maestro unico». Facendo saltare il modulo che
prevedeva tre insegnanti su due classi, Gemini ha raggiunto un primo
obiettivo: su due classi ora ci saranno due docenti e non tre. Ma il
piatto grosso resta sempre il tempo pieno con due insegnanti su una
classe: nella testa di Gelmini-Tremonti questo è uno spreco
intollerabile, corrispondente a un possibile risparmio del 50pre cento.
Tutto e subito. Da oltre quindici anni non vengono istituite in Italia,
se non in casi eclatanti, classi a tempo pieno. Non è un caso.
Difficile pensare che Gelmini le istituirà. Nonostante ogni tipo di
protesta. E’ più facile che salti lei come ministro o salti questo
governo. L’Onda perciò non si monti la testa. L’obiettivo a medio
termine resta quello di garantire il tempo pieno e il suo corretto
funzionamento lì dove già esiste: questo sarebbe già un ottimo
risultato. Perché una cosa è dire che esiste, altra è metterlo in
pratica. Per esempio, senza alcuna compresenza il tempo pieno è già
annacquato, senza uscite didattiche, senza attività laboratoriali.
Oggi
siamo in una lotta di contenimento, di difesa di quanto altri prima di
noi avevano ottenuto e che oggi stanno togliendo ai nostri alunni e ai
nostri figli. Pretendere di più da questo governo non è realistico.
Piuttosto l’Onda inizi a chiedere con più forza le dimissioni di
Gelmini e del governo. Al resto penseremo poi. Magari lottando con un
ministro dell’Istruzione di centrosinistra. Partita dura anche quella.
Rassegna stampa 24 dicembre 2008
Scritto da cittaztudi in Rassegna stampa il 25 Dicembre 2008
Dal manifesto di oggi.
GRECIA, CONTINUA LA PROTESTA DEGLI STUDENTI
Spari contro un furgone della polizia
(n. v.)
Spari contro un furgone della polizia. È successo di nuovo ad Atene, ieri mattina, mentre una squadra antisommossa usciva dalla stazione di polizia del quartiere di Goudi. Alcuni sconosciuti hanno aperto il fuoco, colpendo un pneumatico e il motore, senza che nessun poliziotto all’interno del furgone risultasse però ferito. I colpi sparati sarebbero stati sette e non due, come riportato inizialmente dai media, e nella serata di ieri l’attacco è stato rivendicato da un gruppo denominatosi «Azione popolare». La squadra antiterrorismo ha aperto un’indagine.
L’episodio si inserisce nel clima di rivolta che imperversa ad Atene e in tutta la Grecia da tre settimane, da quando, il sei dicembre, un poliziotto ha ucciso il quindicenne Alexis Grigoropolous durante degli scontri con i gruppi anarchici nel quartiere di Exarchia. Da allora le strade ateniesi sono state attraversate da un costante vento di protesta, che ha portato pacifiche dimostrazioni di dissenso, assemblee, occupazioni, ma anche scontri aperti e saccheggi di negozi del centro. I giovani, studenti e disoccupati, hanno visto nell’episodio l’ultima atrocità siglata da un governo – quello conservatore del premier Costas Karamanlis -, che vede già un forte calo del consenso. In questo clima, gli attacchi rivolti contro i veicoli e il personale di polizia sono stati frequenti, ma quello di ieri a Goudi è il primo in cui sono state impiegate armi da fuoco.
Sempre ieri, una manifestazione studentesca ha nuovamente sfilato per le vie del centro, senza che si verificasse alcun incidente. Il Politecnico, l’università occupata insieme alle facoltà di economia e di legge, aspettava uno sgombero da parte della polizia durante la notte scorsa, che è invece trascorsa tranquillamente. Le occupazioni degli atenei proseguono da 17 giorni, e gli studenti iniziano a sentire il peso di una rivolta così prolungata nel tempo e senza precedenti. Ma gli attivisti si augurano che il movimento prosegua anche nell’anno nuovo.
APPUNTI DI SCUOLA
La verità sull’Italia che Gelmini nasconde
Giuseppe Caliceti
Come si distrugge la scuola pubblica italiana? Primo: distruggendo quello che funziona meglio. Se c’era un ordine scolastico che in Italia andava bene era la scuola elementare italiana. Ma proprio su di lei ha iniziato ad abbattersi la furia finto riformatrice di Gelmini. La conferma di un’ottima scuola di base in Italia arriva dal rapporto Timss 2007 – Trend in international Mathematics and Science study. È l’indagine che misura le competenze in matematica e scienze degli alunni al quarto e all’ottavo anno di scolarità. L’edizione 2007 del Timss riporta i dati relativi agli alunni di 59 paesi distribuiti nei 5 continenti e, per l’Italia, fa il paio con i confortanti risultati di un’altra indagine internazionale: il Pirls 2006 – Progress in international reading literacy study – che indaga sulla comprensione della lettura dei bambini al quarto anno di scolarità. I dati, recentemente diffusi, fanno riflettere non poco. Specie dopo la soppressione annunciata da Gelmini, a partire dal prossimo anno, nella scuola primaria, del cosiddetto «modulo» (tre insegnanti su due classi). Risultati che sono figli più che legittimi proprio del Modulo che, introdotto nel 1990, dal prossimo anno cesserà di esistere lasciando spazio ad un maestro cosiddetto «prevalente» che insegnerà nella stessa classe per 22 ore settimanali lasciando ad un secondo insegnante il completamento dell’orario a 24, 27, 30 o 40 ore settimanali. Rispetto al 2003 i bambini italiani migliorano le loro performance, confermandosi ai primi posti in Europa dove si piazzano all’ottavo posto in matematica e al quarto posto in scienze. Risultato che assume maggiore importanza se si considera che i nostri alunni di quarta elementare, con una età media di 9,8 anni, sono più piccoli dei corrispondenti compagni degli altri paesi: tutti con età superiore a 10 anni. A livello mondiale la concorrenza dei paesi asiatici (Hong Kong, Cina e Singapore ai primi posti) fa scivolare l’Italia al sedicesimo posto in matematica e al decimo posto in scienze, sempre e comunque con un «rendimento significativamente più alto della media internazionale», a quota 500 punti. I bambini italiani prevalgono su quelli svedesi e norvegesi e, in scienze, anche sui compagni tedeschi.
Entrando più nei particolari, il Timss mostra che gli alunni del nord-est italiano sono in assoluto i più bravi. Invece quelli del sud-isole arrancano. Trend opposto per i ragazzini all’ottavo anno di scolarità. Gli alunni che frequentano la terza media in Italia rimediano l’ennesima figuraccia: collocano al di sotto della media internazionale. Dati alla mano, qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso può rendersi conto di una cosa assai semplice da constatare: i bambini italiani escono dalle elementari più che preparati ma, dopo aver frequentato tre anni di scuola media, si ritrovano indietro nella preparazione. Difficile capire che, se proprio si vuole iniziare a parlare seriamente di riforma, bisogna partire dalle scuole medie? Evidentemente sì. Per Gelmini si parte infatti a rovinare la scuola pubblica italiana dalle elementari, l’ordine di scuola che funzionava meglio di tutto il processo formativo italiano. Un ottimo inizio, non c’è che dire. Ma allora di che qualità si parla? Di quale merito? Di quale eccellenza? Semplice: si guardano solo i dati – negativi – che in qualche modo possono giustificare un pesantissimo taglio ai fondi e al personale scolastico italiano della scuola pubblica. Il resto non si guarda. Anzi, a Gelmini probabilmente danno fastidio questi dati che testimoniano inequivocabilmente il buon funzionamento della scuola di base italiana perché mettono il dubbio, in un’opinione pubblica massicciamente pilotata a fini strumentali sul tema scuola da mesi e mesi, che quello che dice Gelmini non ha capo né coda.